Quegli artisti che cantarono il «New Deal»

D all’euforia degli anni Venti, quelli dell’età del jazz e delle flappers immortalate nei romanzi di Francis Scott Fitgerald, delle canzoni di Bessie Smith e di Scott Joplin, del rag time e dei divi del cinema muto, del volo solitario di Charles Lindbergh che con il suo The Spirit of Saint Louis faceva la prima trasvolata atlantica e dava agli Stati Uniti il primato della modernità, gli americani si risvegliarono in una brutta giornata d’autunno del 1929, «il giovedì nero» in cui la Borsa andò a fondo e cominciò il Devil Decade, il decennio del diavolo, ovvero la Grande Depressione...
Il Paese si ritrovò con milioni di disoccupati, la crisi non toccò solo l’industria ma si allargò anche all’agricoltura, aggravata dalla siccità e dal fenomeno dell’erosione che colpì alcuni degli Stati federali del sud, Texas, New Mexico, Oklaoma, funestati da venti pieni di polvere che devastarono campi e raccolti. Fu allora che nacque il New Deal, voluto dal presidente Franklin Delano Roosevelt, ovvero l’intervento massiccio dello Stato attraverso opere pubbliche e sussidi, fu allora che la parola d’ordine data a registi, fotografi, scrittori musicisti fu all’insegna della speranza: la canzone Happy days are here again, i giorni felici esistono ancora, divenne la colonna sonora con la quale l’America combattè la sua battaglia più difficile.
«Gioie e dolori nell’America degli anni Trenta», la mostra curata da Luigi Sansone e realizzata in collaborazione con la fondazione Antonio Mazzotta, racconta proprio questo e non è un caso che il sottotitolo lo spieghi ancora più esplicitamente: «Dall’euforia alla Grande Depressione». Ospitata a Palazzo Sormani (dal 30 aprile al 10 giugno: orari lunedì-sabato 14-19, chiuso la domenica, ingresso libero), l’esposizione ricostruisce il clima della Grande Depressione nel suo passaggio dall’età felice degli anni Venti alla rinascita della fine degli anni Trenta, e lo fa attraverso documenti e oggetti che raccontano mode, gusti, forme d’espressione e linguaggi. Manifesti, fotografie, cartoline, partiture, dischi in vinile, riviste e gioielli d’epoca, edizioni originali dei romanzi che la raccontarono in presa diretta (da Dos Passos a Caldwell, da Steinbeck a Faulkner) provengono da collezioni private, dalla Fondazione Antonio Mazzotta e dalle ricche raccolte novecentesche della biblioteca Centrale.
Particolare spazio viene dedicato alla musica, che ebbe in quel decennio tragico eppure ricco di voglia di fare e di talenti, un ruolo fondamentale nella strategia di controllo psicologico delle masse. Lo ebbe attraverso la radio e canzoni popolari come Brother, can you spare a dime, fratello, puoi risparmiare un centesimo, attraverso il musical e i film musicali, dove Fred Astaire e Ginger Rogers come ballerini e cantanti e George Gershwin come autore segnarono alcune delle pagine più belle del teatro musicale. A questo proposito la mostra prevede tre appuntamenti concertistici di grande interesse: il primo, il giorno dell’inaugurazione, avrà per protagonista proprio le musiche di Gershwin nell’interpretazione del duo formato dal soprano Karin Schmidt e dal pianista Paolo Alderighi, con in programma un florilegio di motivi scelti fra le sue pagine più famose. L’11 maggio alle 21 ci sarà il secondo, focalizzato sulla musica di Duke Ellington. A ripercorrere la sua opera di compositore sarà un quartetto jazz composto da Cesare Rotondo, Vittorio Chessa, Dario Tosi e Carlo Panzalis. Ultimo appuntamento, l’11 giugno in coincidenza con la chiusura, quando sarà lo swing a farla da padrone: musiche di Cole Porter, Iriving Berlin, Hoaggy Carmichael, saranno eseguite da Alfredo Ferrario, Fabrizio Bernasconi e Franco Finocchiaro.
La mostra è anche l’occasione, in concomitanza con l’attuale crisi economica, per verificare quanto e se il tipo di reazione di una grande potenza dell’epoca possa servire ancora oggi come esempio. Sotto questo profilo, il suo aspetto più caratteristico resta quello dell’umanitarismo sereno, della fiducia e dell’ottimismo che fu alla base del New Deal, con i suo richiami alla tradizaione e al risanamento.

«Rimedio, Ripresa, Riforma», furono le «tre R» intorno alle quali Roosevelt organizzò la sua azione politica e fu allora che per la prima volta vennero introdotti negli Stati Uniti l’asssitenza sociale e l’indennità di disoccupazione, malattia e vecchiaia.

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