Quegli operai innocenti vittime della Resistenza

Un libro racconta la strage compiuta da «Milan» e «Cric» ipotizzando un accordo tra bande deviate e nazisti

È un capitolo atroce e imbarazzante della Resistenza: sei operai della Piaggio uccisi a sangue freddo dai partigiani comunisti di Francesco Moranino nell’ottobre ’44. Un episodio inspiegabile, dimenticato in fretta e ora ricostruito da Roberto Gremmo nel suo libro La Piaggio a Pontedera (Storia ribelle, disponibile scrivendo alla casella postale 292 13900 Biella).
La storia comincia quando i tedeschi nella primavera ’44 decidono di trasferire la Piaggio in una zona più sicura, spostando macchinari e uomini dalla Toscana al Biellese. La Piaggio è in quel momento il cuore dell’industria aeronautica italiana e dai suoi stabilimenti escono i velivoli che limitano nei cieli lo strapotere degli Alleati. In teoria gli operai hanno vinto, con quel trasloco, un terno al lotto. Stipendi più alti, lontananza dal fronte, certezza di non essere deportati in Germania. Ma chi ha deciso l’operazione non ha fatto i conti con la presenza in zona di agguerrite bande partigiane. Fra il 19 e il 20 ottobre sei operai vengono prelevati e uccisi. I sei non sono fascisti, non hanno colpe o responsabilità particolari: nulla di nulla. E allora perché eliminarli con tanta ferocia? Una rappresaglia? Il tentativo di mettere le mani sulla Piaggio? Una vendetta privata inserita nella cornice della guerra?
Nell’aprile 1945 Biella viene liberata, uno dei parenti delle vittime riesce a incontrare Moranino e il comandante Gemisto (questo il suo nome di battaglia) offre una spiegazione: il massacro è stato provocato da alcune schegge impazzite del movimento partigiano e, in particolare, dai garibaldini Cric e Milan. I corpi vengono recuperati, Moranino si occupa addirittura di riabilitarli: «Tenuto conto che gli elementi accusatori erano i garibaldini Cric e Milan, entrambi deferiti in seguito al Tribunale militare per rapina e spionaggio ai danni delle formazioni e che il nominato Cric trovasi attualmente nelle carceri di Biella a disposizione delle autorità competenti \, delibera di riabilitare la memoria dei giudicati in quanto il giudizio emanato in sede non opportuna, seppure in periodo eccezionale di rastrellamento, avrebbe potuto in sede di tribunale di brigata legalmente costituito non comportare la pena capitale».
Una spiegazione che non spiega nulla ed è smentita da un documento redatto nell’ambiente partigiano e saltato fuori dagli archivi. Si tratta di un elenco «di spie fucilate», in cui compaiono i nomi di quei disgraziati passati per le armi, inseriti nella lista alla data, errata, del 12 maggio 1944. Gremmo avanza un’ipotesi: «In gran parte fasullo, l’elenco tentava di prefigurare una sorta di alibi, da tenere pronto nel caso, non improbabile, di dover giustificare quella carneficina».
Insomma, fra l’elenco, le parole di Moranino, quelle di Annibale Giachetti - che ha attribuito la strage a un altro comandante partigiano - si crea confusione, forse voluta per evitare la scoperta della verità. E dei loschi, inconfessabili traffici messi in piedi dagli uomini di Moranino con i nemici nazisti. Un fatto è certo; in quel periodo i colonnelli di Moranino portano a termine altre esecuzioni mirate: «In quel territorio - scrive Gremmo - Gemisto e i suoi avevano stretto un inconfessabile accordo occulto con i nazisti accordandosi per ricevere una sostanziale contropartita, favorendo il commercio di tessuti delle fabbriche biellesi, spediti direttamente in Germania per le esigenze belliche del Reich con la benevola protezione dei partigiani». E allora ecco affacciarsi il possibile movente: «O i sei operai avevano visto troppo oppure Moranino ed i suoi volevano impedire che prima o poi potessero scoprire qualcosa e parlarne in giro».
Risultato: Cric e Milan, per quel delitto non pagarono mai». Dopo la guerra, vengono arrestati ma per altre vicende.

A Pontedera, invece, il caso dei sei torna in superficie nel ’90 quando il capogruppo di An Sergio Giuntoli propone di intitolare una via ai caduti di Biella. Qualcuno avrebbe preferito l’espressione «Martiri di Biella», ma il consiglio comunale stabilisce di puntare sulla formula più neutra «Caduti di Biella». È tutto quel che ci è rimasto di quella tragedia.

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