Quei 24 figli di rettori seduti in cattedra

Peccato, sarebbe stato opportuno che il ministro Gelmini bloccasse i concorsi universitari, quelli per il reclutamento dei docenti. Sono concorsi indecenti, con candidati prestabiliti commissioni prefabbricate, votate all’interno di piccoli raggruppamenti didattici che difendono a denti stretti privilegi corporativi per nulla attenti alla qualità scientifica dei candidati, con buona pace della tanto evocata ricerca.
Concorsi per candidati già stabiliti, di cui il concorso stesso sarà una semplice ratifica amministrativa. Per quello che mi riguarda, potrei fare l’elenco di tutti i prossimi vincitori dei concorsi di filosofia nelle loro diverse varianti (Morale, Storia, Estetica ecc.).
Allora mi si dirà: perché Zecchi non va con quell’elenco dal magistrato? Risposta: è assolutamente inutile, come è stato dimostrato in passato. E il motivo è semplice: si può impugnare l’irregolarità delle procedure amministrative del concorso ma non la valutazione di merito sui singoli candidati, perché il parere della commissione giudicatrice è insindacabile. Insomma, tutti i nomi di quell’elenco risulterebbero i migliori candidati possibili secondo la valutazione delle singole commissioni. Un vero falso. Sarebbe sufficiente guardare i libri dei candidati per rendersene conto.
Si vogliono fatti? Bene. In un recentissimo concorso di estetica nella facoltà di architettura di Milano si confrontavano due candidati. Uno di loro ha due lauree, una in architettura e una in filosofia, una serie di libri specifici che incrociano le competenze filosofiche con quelle attinenti alla cultura architettonica. Chi meglio di lui poteva diventare un ricercatore di quella facoltà? Ha vinto l’altro candidato, già stabilito, con libri di una sconsolante modestia.
Questa è la vergognosa giustizia accademica. Nei giorni scorsi sul Corriere della sera il professor Luciano Canfora, che insegna all’università di Bari, ci fa la lezioncina sui tagli alla ricerca. Quattrini, come è stato dimostrato proprio dal nostro giornale, che i rettori usano non per la ricerca ma per pagare gli stipendi dei professori, reclutati in modo indecente, clientelare, nepotistico. Sarà un caso del destino o, meglio, della scienza, ma proprio nell’università di Bari insegna col professor Canfora un numero significativo di suoi parenti stretti. L’unità della famiglia è garantita, la scientificità della ricerca non lo so.
E i rettori che protestano perché non hanno soldi? Ventiquattro figli di rettori sono in cattedra: amor di scienza o amor paterno?
Tutto naturalmente alla luce del sole. Del caldo sole di agosto. Ma proprio adesso il ministro doveva bandire i concorsi? I trenta giorni di scadenza per presentare le domande da parte dei candidati vanno generalmente dal 15 luglio a ferragosto. Per esempio, il tempo utile per la presentazione delle domande per il concorso a cattedra di Estetica nell’università di Lecce va dal 17 luglio al 17 agosto. Io credo che il responsabile di un’azienda privata per il reclutamento del personale, cercherà di dare la massima pubblicità a un bando di concorso, all’apertura di colloqui per valutare chi dovrà assumere. Più saranno le domande e più saranno le opportunità di scelta. Questo fatto, banalmente ovvio, non riguarda l’università italiana. I bandi si fanno ad agosto: bisogna stare attenti agli infiltrati; solo gli interessati (cioè quelli indecentemente prestabiliti) devono partecipare al concorso, tutti gli altri sarebbero una minaccia e, quindi, perfino le condizioni climatiche diventano un utile deterrente. Sempre, ovviamente, a vantaggio della ricerca, non quella scientifica ma quella del posto.
E poi è inutile lamentarsi dei pochi soldi destinati alla ricerca. Anche in questo caso, dati pubblicati recentemente ci dicono che l’impegno finanziario dello Stato è nella media europea.

Ciò che manca clamorosamente, abbassando la quota italiana rispetto all’Europa, è la partecipazione finanziaria dei privati alla ricerca guidata dalle università di Stato. D’altra parte non si capisce perché un’azienda che vive coi propri mezzi debba buttare i soldi nel gabinetto.
Stefano Zecchi

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