Quei cinque mesi di contraddizioni

Il 17 ottobre il leader del centrosinistra parlava già di un prelievo al 20%. Ma dopo ha continuato a confondere le acque

da Milano

È vero: nel programma dell’Unione, non c’è scritto che si aumenteranno le tasse su Bot e Cct. O meglio, non con queste precise parole. È stata preferita una formula molto più involuta: «L’uniformità del sistema di tassazione delle rendite finanziarie a un livello intermedio tra l’attuale tassazione degli interessi sui depositi bancari e quella sulle altre attività finanziarie, con l’esclusione dei redditi di piccoli patrimoni, in coordinamento con l’imposizione societaria e la tassazione di dividendi e plusvalenze azionarie».
Ma che di Bot e Cct si parlasse, ci ha pensato lo stesso Romano Prodi a confermarlo ieri sul suo sito, sia pure con tutti i distinguo del caso. E che comunque contrastano con le dichiarazioni rilasciate ai giornalisti dal leader dell’Unione nello stesso pomeriggio: «Non è assolutamente nostra intenzione modificare la tassazione su Bot e altri titoli di Stato».
In realtà, Prodi questa intenzione ce l’ha da un pezzo, al di là delle dichiarazioni più o meno rassicuranti di questi mesi. Già il 17 ottobre scorso, per esempio, ne parla apertamente in tv, durante la trasmissione Porta a Porta: anche qui però inizia parlando genericamente di «rendite finanziarie». Solo a precisa domanda di Bruno Vespa, che gli chiede se sia necessario tassare anche i Bot, risponde di sì: «Ma - si affretta ad aggiungere - bisogna esentare i Bot di quantità modesta».
Passano i mesi, le elezioni si avvicinano, e il candidato dell’Unione ritorna sulla poltrona di Porta a Porta. Questa volta è più esplicito: per tagliare 5 punti del costo del lavoro in un anno, è necessario caricare il peso del fisco sulle rendite finanziarie. «Nella mia testa il 20% diventa un punto di riferimento», dice a Vespa. Il giorno dopo, l’ufficio stampa del Professore si affretta a sfumare: si tratta di un’aliquota «orientativamente vicina al 20%» e comunque «il presidente Prodi ha più volte assicurato che tale armonizzazione esclude aggravi fiscali sui piccoli capitali». Come? Sono allo studio diverse formule tecniche.
Intanto, però, qualcuno comincia a fare due conti. Per esempio Il Sole-24 Ore, che il 16 marzo scrive: «Il lato oscuro dell’armonizzazione al 20% riguarda tanto il calcolo dell’impatto sui conti pubblici quanto l’individuazione dei piccoli patrimoni». Il quotidiano si pone anche un’altra domanda: c’è un «rischio progressività» per la tassazione delle rendite finanziarie? Perché nel programma dell’Unione è scritto anche che il problema del potere d’acquisto non può «essere disgiunto da una politica fiscale basata sul prelievo progressivo per tutti i redditi, dai salari alle rendite». Rendite in generale, quindi, comprese quelle finanziarie.
Non a caso, il giorno dopo, una delle prime domande che gli imprenditori riuniti a Vicenza pongono a Prodi è proprio sulle risorse da utilizzare per il taglio del cuneo fiscale.

«In che misura - chiede Luca Garavoglia, presidente della Campari - farete ricorso a un aumento delle aliquote sulle “rendite finanziarie”»?. Prodi minimizza: «Un’aliquota secca o altro, che inciderà al massimo per 2,5 miliardi». Il resto è storia di oggi.

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