Quei dissidenti in uscita dal Pd che possono fare cadere Prodi

Da Dini a D’Amico a Bordon, si allarga la pattuglia di senatori che ha dato l’altolà al Professore. Carra: "Di contatti ce ne sono stati, ora tutto è possibile"

Quei dissidenti in uscita dal Pd 
che possono fare cadere Prodi

Roma - «Ormai sono saltati tutti gli schemi, può capitare qualsiasi cosa». Non esclude nulla, Enzo Carra: ora parlamentare della Margherita e capo politico della pattuglia di deputati e soprattutto di senatori teo-dem, ieri dirigente democristiano vicinissimo ad Arnaldo Forlani.

Un politico navigato, che ne ha viste tante e che oggi, davanti alla profezia del Cavaliere («Dopo il 14 ottobre ci saranno defaillance nella maggioranza, molti nella Margherita si sentiranno liberi di decidere in autonomia») allarga le braccia: «Tutto è possibile», dice. «Di contatti, soprattutto al Senato, ce ne sono stati molti, anche nelle file della Margherita: se Berlusconi vuole trovare un po’ di senatori per far cadere il governo, li trova. Il problema è che lui vuole le elezioni e invece lo sbocco di una crisi ad oggi è ancora incerto».
Gli occhi, nel centrosinistra, sono puntati innanzitutto su Lamberto Dini, e sul suo mini-gruppo di senatori (in tutto tre, ma bastano) che hanno già annunciato che non entreranno nel Partito democratico, e hanno dato l’altolà a Romano Prodi: «Se si tocca l’accordo su welfare e pensioni votiamo no».

Oggi, Dini e i suoi presenteranno ufficialmente il simbolo del loro nuovo movimento «I liberaldemocratici»: per ora componente della Margherita, ma che al momento della nascita ufficiale del Partito democratico, dopo le primarie del 14 ottobre, avrà le mani libere. Per farne che? In molti hanno cercato di capirlo: negli ultimi giorni Prodi, Veltroni, Franceschini, Rutelli hanno tutti incontrato l’ex premier, e hanno spiegato di aver ricevuto assicurazioni: «Non passerà dall’altra parte». Ma l’incertezza rimane. Dini va per la sua strada: «Nel Pd - spiega - ex popolari ed ex-comunisti hanno fatto un accordo di ferro su tutto il territorio per spartirsi ogni posto, facendo fuori non solo noi di Rinnovamento ma anche Francesco Rutelli e Arturo Parisi. Per noi è un discorso chiuso». Con lui, al Senato, c’è l’economista Natale D’Amico e c’è Giuseppe Scalera, un ex Ppi napoletano, già presidente dell’Ordine dei medici locale, che in Campania conta su un buon pacchetto di voti. E che spiega chiaro che lui «in un partito in cui è evidente l’egemonia dei Ds» non ci vuole stare. In sintonia con un altro senatore eletto nella Margherita (transfuga da An): Domenico Fisichella: «Per la sua storia - assicura Dini - non potrebbe mai andare con gli ex comunisti».

Fuori dal Pd e con il movimento cattolico di Pezzotta sta Gerardo Bianco, che però e deputato. E, con la loro neonata «Unione democratica», si piazzano altri due senatori ex-Margherita, Roberto Manzione e Willer Bordon. Che avverte: «Ora rivendico la mia libertà d’azione, senza sconti a nessuno per nulla». Neppure a Prodi, cui «voglio bene», ma «se insisteranno con i voti di fiducia impropri potremmo mandarli a quel paese». Fino al punto di regalare la crisi a Berlusconi? Carra scuote la testa e ripete: «Non escludo nulla, ogni senatore in questa malnata legislatura sa di essere l’ago della bilancia e di stare sul mercato. Anche solo per essere rieletti...». A Palazzo Madama di nomi «in bilico» sondati dal centrodestra se ne fanno molti: il calabrese Fuda, eletto nella lista di Loiero; gli ex Ppi Pasetto, Ladu, Banti.

«E poi c’è Di Pietro con i suoi - nota Carra - certo sarebbe paradossale che fosse un ministro a far cadere il governo, ma in fondo è quello che pensa di aver più da guadagnare da elezioni anticipate. Lui e Berlusconi».

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