A parte i felici scambi tra surrealisti, pittori e fotografi, i primi grandi poeti indagati, ossequiati dalla telecamera apparvero nella caliginosa TV in biancoenero dellormai remoto passaggio tra i grigi anni 50 e i fervorosi 60: Ungaretti che intonava reboanti passi dellOdissea, come prologo allo sceneggiato di Franco Rossi; Montale chioccio, ironico, quasi in falsetto; Pasolini intervistato da Enzo Biagi in mezzo ai suoi vecchi compagni di classe. Quasimodo fresco di premio Nobel addirittura apparve in un film di Antonioni sulla Milano «esistenzialistica»: La notte. Era la scena di un cocktail mondano-intellettuale dove il poeta di Ed è subito sera ed Oboe sommerso divagava coi vari Bompiani, Eco, Ottieri, e insomma recitava se stesso.
Nelle trasmissioni de «Lapprodo» non erano poi infrequenti soffuse interviste e dialogati ritratti da interno ai «Signori Autori». Ma perché larte pulsasse dei veri «passi doppi» tra registi e artisti occorse tempo. Arrivò un pittore come Mario Schifano, edonista ma non meno inquieto, che «adottò» un grande poeta solitario e trasgressivo quale Sandro Penna, per eleggerlo a protagonista di un suo «corto» dartista: Umano non umano. Era il 1969 e il nostro artista visivo più à la page rilancia e ammette: «La pittura, almeno la mia, con i suoi limiti, non ha sbocchi. Il cinema offre maggiori possibilità di inventare immagini». Ci volle insomma la pop art italiana e la romana Scuola di Piazza del Popolo perché si avvicinassero, come già avevano ben insegnato gli Andy Warhol e le loro factory, arte e poesia. Il «film dartista» conosce da noi proprio in quegli anni la massima fioritura; si aggiungono altri nomi, altri «pittori con la cinepresa»: Gianfranco Baruchello, Luca Patella, Pino Pascali, Giosetta Fioroni.
Ora questi intriganti film-ritratti che Fandango manda in libreria, a cura di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini, in qualche modo colmano un vuoto, e consentono di riaggregare le figure dei veri scrittori intorno al denso corpus di una suggestione, un paesaggio, un visionario tormento o un placido idillio, unardita deriva o un pacificato approdo di verità (Andrea Zanzotto; Mario Rigoni Stern; Luigi Meneghello: con introduzioni, rispettivamente, di Franco Marcoaldi, Eraldo Affinati e Gianfranco Bettin; DVD + libro, indivisibili, euro 20 ciascuno).
Zanzotto, in particolare, sollecitato da un Marco Paolini in gran forma, tiene a perfezione la scena dellintervista/dialogo, duttile e complice fra tenerezza daffetti e briosa, sapiente oltranza intellettuale. Devoto e illuminato, a tratti squisitamente sornione, Paolini ribatte e interroga concetti e temi di grande pregnanza epocale: «Che differenza cè tra lingua e idioma? Chi rivendica unidentità o chi si adegua allomologazione? Che rapporto hai con la storia? Zanzotto sta al gioco e risponde amabile, discettando assennato e onnivoro delle fantasie di ragazzo e dei veneti scenari di storia e natura che il Montello protegge e inghiotte insieme.
Dulcis in fundo, la notizia di un altro film «letterario» su Giorgio Caproni, per opera di Fabrizio Lo Presti (Statale 45.
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