Stile

Quei fiori sono così belli che me li mangerei...

Usati anche dagli chef, danno colore a insalate e dessert. Una quarantina quelli edibili

Maurizio Bertera

Sta per avvicinarsi il periodo giusto per parlare della cucina dei fiori. Tanti pensano che la stagione ideale per raccogliere quelli edibili più o meno una quarantina le tipologie sia all'inizio della primavera. Errore: la natura offre il meglio da maggio all'inizio dell'estate e in autunno.

E in particolare lo abbiamo letto in un bel libro come «La cuoca selvatica» di Eleonora Matarrese (Bompiani), il momento ideale per fare foraging è il mattino di un giorno sereno e asciutto. Già, il foraging: il termine inglese che indica la raccolta di piante, tuberi, radici, cortecce, erbe e appunto fiori nei boschi o comunque in aree dove crescono spontaneamente. Ovviamente esiste dalla notte dei tempi ma una decina di anni fa è diventato un must perché ha rappresentato la base concreta della Nordic Cuisine di René Redzepi, issatosi incredibilmente al primo posto nella The World's 50 Best Restaurant con il Noma. Scontato che i tanti allievi anche italici e un mare di imitatori ne seguissero le orme ed ecco fiorire nomen omen un mare di orti e serre a disposizione dei cuochi, a volte impegnati direttamente nella coltivazione. Mode a parte, i fiori sono straordinari per dare colore, profumo ed eleganza a un piatto, ma i bravi chef sanno dosarli per arricchire tutto, che sia un antipasto o un dessert. Per non parlare delle insalate dove i fiori edibili sono ormai obbligatori.

È un mondo in pieno sviluppo che luoghi comuni a parte sembra attirare maggiormente le donne. Cuoche come la nostra Antonia Klugmann o la slovena Ana Ros (numero 1 al mondo nel 2017) che favorite dall'avere locali praticamente nel bosco, non hanno problemi a riempire la dispensa. Oppure Valeria Margherita Mosca, la fondatrice di Wooding il solo laboratorio sperimentale sul cibo selvatico che cucina e prepara drink all'insegna del floreale. O ancora Nadia Cunaccia che si definisce «raccoglitrice nomade»: vaga costantemente nel Parco Nazionale dell'Adamello per raccogliere tutto ciò che è buono e servirsene per la sua linea di prodotti Primitivizia. Si va dal ketchup di rosa canina, al fieno di acetosa e tarassaco o al pesto selvaggio fatto con cinque erbe rare. Per la cuoca di casa, basta un ricettario ad hoc (ce ne sono sempre di più tra gli scaffali), in mancanza delle ricette di nonna e mamma che soprattutto lontano dalla città usavano senza darsi arie le ortiche per il risotto e la boragine per il ripieno dei ravioli, i petali di rosa e la lavanda per i dessert per non parlare dei fiori di zucca.

Fantasia al potere quindi, viste le possibilità culinarie (vedi box) a patto di non correre rischi: l'ideale ovviamente sarebbe coltivarsi i fiori in casa, senza usare agenti chimici. Alternativa (più costosa, ovvio) è l'acquisto presso negozi specializzati o supermercati a tracciabilità sicura e che ne specifichino la funzione sulla confezione.

Per chi invece si vuole divertire con il foraging, al di là di prestare attenzione ai cartelli (in alcuni boschi non si può raccogliere), il metodo più sicuro è quello di pulire sul posto i fiori, conservarli in sacchetti bucherellati per farli respirare e lavorarli prima possibile. Quasi sempre, basta cuocerli in poca acqua, a fuoco basso per pochi minuti.

Poi dall'antipasto al dolce è una sinfonia di colore e tocchi di gusto sorprendenti.

Commenti