Quei genitori un po’ troppo permissivi

Quei genitori un po’ troppo permissivi

Marcello D’Orta

La prima e unica volta che tornai a casa dopo le ventidue, trovai i miei genitori affacciati al balcone, e capii che non erano là per prendere una boccata d'aria. Feci le scale del palazzo consapevole di ciò che mi aspettava. E ciò che mi aspettava era lo sguardo severo di mio padre e il volto congestionato (congestionato dall'ansia, dalle preoccupazioni) di mia madre. La porta di casa era aperta (a rilevare il mio ritardo) e i genitori ritti sulla soglia di casa, entrambi in pigiama.
Mio padre - le sopracciglia aggrottate - si limitò ad esclamare: «Che non accada più!», mia madre sbottò: «C’hai fatto mettere ’na paura...!».
Era il 1973, avevo venti anni, e l’anno seguente sarei partito per il militare. Ero dunque un uomo, e tuttavia venivo trattato ancora come un bambino.
I miei genitori erano fin troppo apprensivi, vedevano pericoli dappertutto, e a furia di dirci: «Non far questo, non far quest'altro», a furia di veder, nella vita, solo curve pericolose e mai rettilinei, fecero di noi figli dei semi-handicappati. Prendete il mio caso. Non so nuotare, ho paura di andare sulla nave e nell'aereo, ho avuto la mia prima esperienza sessuale a 24 anni, continuo (a 52 anni suonati) a dire «sì» quando vorrei dire no eccetera.
Tuttavia di una cosa devo rendere atto a mamma e papà: di averci dato una sana educazione morale. Nessuno di noi (e ne siamo sei) ha frequentato cattive compagnie, nessuno di noi ha praticato il vizio, nessuno di noi ha scelto la strada di illeciti guadagni, e così via. E devo dire grazie anche al mio vecchio maestro delle elementari, che ci leggeva Cuore tutto l'anno, e in specie «Sangue romagnolo», facendoci riflettere sul cattivo comportamento di Ferruccio, che aveva lasciato la nonna tutta sola fino a mezzanotte (comportamento che poi avrebbe ampiamente riscattato col sacrificio della vita).
A ripensare tutte queste cose, sembra che sia passato un secolo, e invece sono passati solo trent'anni.
Un recente sondaggio rivela che in fatto di orari i genitori d’oggi sono molto permissivi con i figli tra i 15 e i 17 anni.
In pratica un adolescente su due rientra a casa quando vuole. Mediamente i ragazzi, nell’arco della settimana, rientrano tra le 22,30 e le 23, ma il sabato sera non ci sono limiti: l'una, le due, le tre di notte.
Questo vale per i maschietti, le femminucce devono (dovrebbero) osservare il rientro a casa entro le 21.
Tale balda gioventù cresce l’esatto contrario dell’estensore di quest'articolo: nuota benissimo, sale e scende da aerei e navi, copula ch'è una bellezza, ha i soldi in tasca e il telefonino, l'automobile e/o la motocicletta.
Mamma e papà concedono loro tutto per paura di aprire conflitti generazionali, «per superare un latente complesso di colpa tendono ad accontentare sempre più i propri figli» (Limoncelli), e così facendo, non solo li deresponsabilizzano (che brutta parola) ma rischiano brutto.


Rischiano figli che si drogano, che fanno uso di alcol, che diventano mamme ad un'età in cui dovrebbero giocare ancora con le bambole, che praticano il culto del male e la ribellione a Dio (satanismo), o che, «semplicemente», perdono (e fanno perdere a chi ha la sfortuna di incrociarli) la vita su un'autostrada.
Io, questi genitori, li aspetterei fuori al balcone di casa mia, armato delle peggiori intenzioni.

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