Ci sono gli imbrattatori dei muri e ci sono gli artisti della strada. Spesso, nel patrimonio del sentire comune, queste due figure vengono quasi a confondersi. Ma se incontrate invece uno di questi artisti di strada, meglio noti come «writers», vi accorgerete che si tratta di tutt'altro genere di persone e, soprattutto, di attività rispetto ai comuni e ignoti imbrattatori. Già, perché mentre un imbrattatore è colui che lascia, dove non è autorizzato a farlo, una scritta, uno sfottò, un simbolo che deturpa, che rovina e che vuole in qualche modo colpire qualcun altro o le idee di qualcun altro, un writers è invece una persona con un nome e un volto, che può pure aspirare a divenire famoso, che progetta a tavolino i suo disegni o le sue scritte (tipicamente «astrattismo calligrafico»), che le realizza dove ha il permesso da parte delle Istituzioni, e che nel fare ciò impiega la stessa dovizia che un pittore può mettere nel realizzare un ritratto nel suo atelier. Poi il risultato può piacere o meno, de gustibus non disputandum est. Ma convenite anche voi che si tratta di attività ben differente da quella dell'imbrattatore anonimo?
A Genova, un esempio di incontro di queste due realtà si può avere in Piazza Faralli, tra i Giardini Baltimora e Piazza Dante, non lontano dagli uffici della Regione Liguria. Ci siete mai passati? È lo scenario di una guerra tra writers e imbrattatori che va avanti - spiega Christian Blef, writers genovese tra i più famosi d'Italia - da 18 anni. «Gli imbrattatori grafitomani, specializzati in scritte volgari, sigle con pennarelli neri o vernice bianca, distruggono in pochi secondi quello che un artista ha realizzato con molte ore di progetto e di lavoro... Per noi è una vera delusione. Per questo alcuni dei siti dove opero non vengono pubblicizzati: per evitare che vengano colpiti». E racconta di qualche episodio di scontro avvenuto con bande di «teppistelli» da strada.Il Comune che fa di fronte a questa guerra? «Talvolta questi imbrattatori sono persone con accertati problemi psichiatrici - spiegano Blef e i suoi compagni - e di fatto nessuno può dire loro nulla».
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