Quei manager di Stato paracadutati dalla politica

L’ex direttore generale dell’Ismea ora fa l’assessore nella giunta di Roma. Miccio e Croff vantano diversi incarichi in società pubbliche, dalla Rai alla Biennale

da Roma

«Da un grande potere derivano grandi responsabilità». Peter Parker, l’alter ego dell’Uomo Ragno, lo sapeva bene. Il mondo dei fumetti, però, è diverso da quello reale nel quale dai poteri discendono in egual misura responsabilità e ottimi compensi.
Le relazioni della Corte dei Conti e i documenti pubblicati in ottemperanza alle disposizioni della Finanziaria 2007 forniscono un quadro abbastanza dettagliato del management della pubblica amministrazione. I ruoli di primo piano negli enti previdenziali sono sempre ben retribuiti e lo testimoniano i dati relativi ai compensi dei direttori generali dell’Inps, dell’Inpdap (dipendenti pubblici) e dell’Enpals (spettacolo e sport). Ma si tratta di funzioni decisive per un settore portante dello Stato e, quindi, cercare di far funzionare macchine elefantiache avendo davanti una popolazione invecchiata che si ritira dal lavoro prima che negli altri Paesi europei non è semplicissimo.
Un discorso diverso può essere effettuato per i ruoli di rappresentanza dell’azionista Tesoro. Via XX Settembre ha sempre affidato questo tipo di incarichi a figure professionali che si sono formate e hanno ricoperto posti di assoluto rilievo nel ministero. È il caso dell’ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio (282mila euro), diventato presidente della Consap, la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici. Lo stesso dicasi per Nunzio Guglielmino (206.500 euro), vicepresidente di Poste Italiane e già dirigente generale del Dipartimento del Tesoro. Un vero e proprio civil servant che ha trascorso nove anni da consigliere economico alla rappresentanza italiana presso l’Unione europea ed oggi è vicegovernatore della Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa.
Vi è poi lo spazio dei «supertecnici», da sempre vicini a un determinato settore e quindi competenti. Un esempio ne è la direzione generale dell’Ismea, l’istituto che si occupa tanto di ricerche di mercato agricolo quanto di finanziamenti per le imprese del settore. Il direttore generale Ezio Castiglione (330.925 euro), da pochi giorni nominato assessore al Bilancio del Comune di Roma, è stato capo di gabinetto dei ministri delle Politiche agricole Alemanno e De Castro ed è autore di numerose pubblicazioni in materia agraria. Allo stesso livello l’ex presidente dell’Autorità portuale di Genova, Giovanni Novi (198.800 euro), broker marittimo e per dieci anni al vertice dello Yacht club italiano.
Infine, c’è un terzo livello rappresentato dall’intersezione tra politica e management degli enti pubblici. Il discorso è meno semplice di quanto si possa pensare. Ovviamente la pubblica amministrazione è soggetta al controllo del potere esecutivo e di quello legislativo, quindi tutte le nomine sono «politiche» realmente e metaforicamente. Ma esiste uno spazio secondario, fatto di realtà settoriali e locali, nel quale questi due mondi confluiscono uno nell’altro.
È il caso di Mauro Miccio (315mila euro), amministratore delegato di Eur spa (90% Tesoro, 10% Comune di Roma). Miccio è stato consigliere di amministrazione della Rai, di Enel e dell’utility romana Acea, tutte società a maggioranza pubblica. E lo stesso vale per l’ex presidente della Fondazione Biennale di Venezia, Davide Croff (180mila euro), che alla direzione generale chiamò un suo ex collega di Bnl (la ex banca del Tesoro nella quale aveva lavorato per 14 anni, ndr), Gaetano Guerci.
I manager «sotto la lente» in queste righe costano circa 3 milioni di euro. A loro spettano notevoli responsabilità e quindi si può tranquillamente assumere che i loro compensi remunerino anche i rischi che derivano dall’assumere incarichi così delicati.

Il problema, però, è un altro e si chiama Italia, un Paese nel quale lo Stato mette il becco in quasi tutti i settori della vita economica e sociale, inclusa l’arte e la cultura. Lo Stato è ovunque il diretto interlocutore di cittadini e imprese: se si spende troppo, la causa è nota.
(2.Fine)

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