Gian Micalessin
Lappuntamento è sempre lì allultima casa di Khirbet al-Tawani. I ragazzini palestinesi arrivano alla spicciolata, gli zainetti in spalla, i libri e i quaderni sottobraccio. I soldati sono già allorizzonte, una fila di cinque jeep inseguita da una nube di polvere biancastra. Gli studenti li indicano a vicenda. Sorridono. Lesercito nemico tra queste colline a Sud di Hebron è il loro miglior amico. Lunico protettore affidabile. Loro sono i ragazzi delle caverne. I figli della comunità palestinese che da secoli vive nelle grotte del villaggio di Twane. Ma tra quei quindici scolari con i libri in mano e le loro case scavate nella roccia ci sono i coloni dellinsediamento di Maon e della sua appendice illegale di Maon Farm.
Per i piccoli palestinesi quel passaggio obbligato attraverso un insediamento fondato e diretto da un gruppo di ebrei americani legati allala più intransigente del movimento dei coloni è una vera forca caudina. Lunica alternativa per evitarla fino allarrivo dei militari era una marcia forzata di 90 minuti attraverso dieci chilometri di sentieri umidi e fangosi dinverno, torridi e assolati nei mesi caldi. Ad aiutarli prima dei soldati erano arrivati dei giovani volontari, anche loro americani. Un brutto giorno due di questi angeli custodi improvvisati vennero attaccati da un gruppo di uomini con il volto coperto, armati di catene e mazze da baseball. I due angeli custodi finirono allospedale e i ragazzini ripresero a scarpinare.
Il sacrificio dei due volontari statunitensi aggrediti, con tutta probabilità, dai loro connazionali ebraici di Maon Farm non fu comunque inutile. Mentre i bambini riprendevano a fare dieci chilometri per andare e dieci per tornare da scuola, la Knesset discuteva e lesercito veniva precettato per lappuntamento quotidiano allultima casa di Khirbert al-Tawani. Da lì - abbandonate le jeep vietate agli scolari palestinesi - inizia la consueta passeggiata quotidiana.
Oltre la sbarra che delimita linsediamento, neppure i soldati sono garanzia di sicurezza. La scorsa settimana, quando i militari erano solo quattro, unennesima grandinata di sassi ha colpito i ragazzini. Da allora i soldati sono diventati una decina, ma la paura dei piccoli palestinesi non è passata. La «casa nera», come la chiamano loro, è il punto più pericoloso. Lì Dalal, una scolaretta di dieci anni, si è presa una pietra in faccia che ancora le segna le guance. La sua compagna di classe Diana è stata sbattuta nei cespugli e presa a calci. «Ci avevano bloccato la strada - ricorda Dalal -, e quando ci siamo fermati i coloni si sono avvicinati e hanno iniziato a colpire anche i soldati. Noi ci siamo attaccati alle loro gambe, ma quelli non riuscivano a difenderci».
Dopo quellepisodio la scorta militare è diventata quasi più numerosa dei bambini, ma davanti alla casa nera qualche problema cè sempre. Da lì il solito gruppo di uomini barbuti e di donne con la testa avvolta nei fazzoletti e le lunghe gonne apostrofa i soldati. «È per questo che ora vi danno un fucile, per difendere gli arabi? Per buttarci fuori dalle nostre case?». I soldati sorridono e fanno segno ai bambini di accelerare il passo. In fondo è solo questione di pazienza.
Quella «casa nera» e tutte le altre di Maon e Maon Farm non dureranno a lungo.
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