Siamo invecchiati ascoltando, nel corso degli anni, alti ed edificanti discorsi sulla necessità di ridurre i costi della politica, di snellire le burocrazie onerose e frenanti, di sopprimere gli enti inutili, le commissioni pleonastiche, le consulenze inutili eccetera eccetera. Non abbiamo mai sentito nessuno difendere gli sprechi e le spese futili, sempre abbiamo visto politici, manager, consulenti pronti a imbracciare la scure, ma la stagione del rigore non è mai arrivata perché moltissimi, prima di procedere ai tagli, hanno detto. «È giusto alleggerire gli oneri, ma si dovrebbe cominciare da...». Il dibattito si è sempre risolto in un moto circolare di condanne che, elidendosi tutte, non hanno comportato nessuna esecuzione. Ciascuno è pronto ai tagli, purché cominci qualcun altro.
Questo schema psicopolitico sembra riproporsi a Palazzo Marino per il piano di dimagramento presentato dalla Moratti. Siamo pronti a concedere tutte le attenuanti che derivano dalle cattive abitudini del passato, ma nessuno pensi di risolvere la questione dicendo: «Il problema è un altro». No, tutte le corporazioni (degli assessori, dei consiglieri comunali, di quelli di zona, dei manager, dei consiglieri di amministrazione e via remunerando) affrontino l'operazione snellezza con stoicismo. Ne va della loro credibilità. Non abbiamo suggerimenti tecnici da dare, sappiamo anche che Milano costa, come macchina politico-amministrativa, molto meno di tante altre città. Ma non basta. A un Paese e a una cittadinanza provati da una finanziaria abnorme va dato l'esempio di un risparmio possibile.
Quei partiti nemici della snellezza
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