Non desidero fare il consulente speciale del ministro per i Beni culturali, né dare consigli non richiesti. Per intanto, il ruolo di Assessore alla Cultura del Comune di Milano ha una sufficiente dignità istituzionale da consentirmi di assumere posizioni senza pretendere di dare lezioni. Sarà opportuno, dunque, chiarire perché, mentre ho insistito per ottenere il Cristo morto di Mantegna, e insisto per il San Sebastiano della Ca' d'Oro, non ritengo conveniente (anche se ne capisco le buone ragioni politiche) prestare al Giappone l'Annunciazione di Leonardo degli Uffizi. Troppo facile, dirà qualcuno! Tu il Cristo lo hai avuto! In realtà, io mi rivolgo qui a quanti hanno manifestato, in eletta minoranza, la loro contrarietà ad entrambi i prestiti.
Per esempio, a una donna sensibile alle questioni estetiche e della conservazione del patrimonio come Giulia Maria Crespi. La mia posizione assomiglia di più a quella di uno studioso insigne, come Arturo Carlo Quintavalle che, escludendo i principi generali (quelli che potrebbero rendere pericolosa l'istituzione di una Commissione sulle mostre e sui prestiti), si occupa delle questioni particolari. Delle opportunità. Si cominci intanto col dire che il potere di un ministro della Cultura riguarda soltanto e propriamente le opportunità: valutare che cosa è importante per la tutela e la promozione del patrimonio artistico e della cultura italiana. In un solo caso il suo potere può essere contraddetto: quando si discuta delle condizioni di conservazione, ovvero della sanità, di un'opera d'arte. Ciò, d'altra parte, vale anche per questioni molto più semplici in cui la ragione di Stato non può intervenire. Certo, su un tema cruciale come la partecipazione di soldati italiani a missioni di pace in luoghi di guerra, anche il principio della sanità, della garanzia per le persone, patisce una eccezione. È infatti evidente che, per quanto la missione sia nobile, i nostri soldati corrono il rischio della vita, e possono morire anche per caso. Da qui le ragioni dei pacifisti che, in questo momento, per il Libano, nessuno sostiene.
D'altra parte si potrebbe estendere la questione anche al mondo degli animali, se è evidente che lo Stato non può limitare la libertà individuale, garantita dalla legge, di un cacciatore, ma non è opportuno che inciti alla caccia. Non solo il comandamento cristiano «Non uccidere» non sembra limitato soltanto alla specie umana, ma anche agli animali; ma è evidente che lo Stato, o la Regione, non può incitare i cacciatori e invitarli a uccidere; allo stesso modo che è consentito il fumo, ma lo Stato impone di non fare pubblicità e di non consigliare di fumare, addirittura, alterando i pacchetti di sigarette con il marchio minaccioso e iettatorio «il fumo uccide» e altre formule dissuasive analoghe.
Dunque, prescindendo dal paradosso che lo Stato invia i soldati in Libano ed è prudentissimo, repressivo, con le opere d'arte, ostacolando il loro trasferimento da Milano, o Bergamo, a Mantova, possiamo dire che nessuna autorità pubblica può disporre di un dipendente, a fronte di un certificato medico che ne dichiari l'indisponibilità o la malattia. Questa è la ragione per la quale i direttori di musei, anche di fronte ad opere sanissime, usano l'espediente, spesso infondato, delle condizioni di conservazione. Si osservi intanto che tra lo spostamento del Cristo morto per la Mostra di Mantova, in Palazzo Te, e il trasferimento dello stesso dipinto, nel 1929, a Londra, per volontà di Benito Mussolini, non c'è nessuna relazione. Semmai andrebbe ricordato che per la prima grande mostra di Mantegna, a Mantova, nel 1961, che ebbe un travolgente successo, rispondendo ai più rigorosi requisiti scientifici, sotto la guida del soprintendente Giovanni Paccagnini, che dieci anni dopo avrebbe scoperto, grazie alla sua scienza, gli affreschi scialbati del Pisanello sui muri di Palazzo Ducale, il Cristo morto era presente, eccome. E nessuno (eppure Cesare Brandi era vivo e attivo) sollevò la minima questione.
La scientificità di una mostra infatti è un a priori; è nel come una mostra è pensata e fatta. Dopo, può non piacere, e ognuno ha diritto a un giudizio sul come e sul perché la mostra sia insufficiente. Nondimeno, scientifica. Ed è questa la sola ragione per la quale nulla si può obiettare al prestito del Cristo morto, una volta verificate, come è stato fatto dall'Istituto Centrale del Restauro, le sue condizioni di assoluta integrità e sanità. Nessuna umiliazione per i funzionari, nessun direttore scavalcato dal ministro. Si dica, allora, nell'ordine:
1) Il ministro Rutelli ha deciso, per l'importanza della mostra, delle mostre, nel quadro delle celebrazioni per il quinto centenario della morte di Andrea Mantegna, attraverso un comitato nazionale istituito dal ministero, e da me presieduto, coordinando sette diversi comitati scientifici, tra Padova, Verona e Mantova (impresa molto più importante di quella del 1961 che corrispondeva al quinto centenario dell'arrivo del pittore a Mantova), di sostenere in tutti i modi le manifestazioni, rendendole tali da costituire, inevitabilmente, un evento irripetibile. Per questo, a Berlino, dove egli convocò una conferenza stampa indirizzata all'Europa per parlare delle celebrazioni mantegnesche, io gli chiesi di sollecitare i prestiti di opere, fortemente simboliche e in perfette condizioni, dei musei di Stato, direttamente dipendenti da lui. Tre in particolare: il Cristo morto di Brera, il piccolo San Giorgio delle Gallerie dell'Accademia di Venezia, il San Sebastiano della Ca' d'Oro, un istituto statale fondato sulla donazione del barone Giorgio Fianchetti.
2) I prestiti di musei italiani per grandi artisti, celebrati in Italia e all'estero, ma soprattutto in Italia, sono essenziali. Penso alle mostre di Masaccio, di Perugino, di Parmigianino, di Mattia Preti, e ai Comitati Nazionali che le hanno promosse. Non si può immaginare di ottenere prestiti di importanti dipinti da collezioni straniere non concedendo i dipinti delle collezioni italiane. E se, per opportunità, per la stretta pertinenza con il museo (l'uno sembra fatto per l'altra), il Cristo morto poteva ragionevolmente essere esposto a Brera, programmando in quella Pinacoteca una mostra delle opere di Mantegna e dei pittori veneziani, come Giovanni Bellini (cognato di Mantegna), di cui Brera possiede un Cristo in pietà di commovente bellezza, in stretto rapporto con il Cristo di Mantegna, escluderlo dalle celebrazioni mentre da Copenaghen arrivava lo straordinario suo «gemello», Cristo su sarcofago, sarebbe stato un segnale non solo negativo, ma provocatorio. E ciò vale anche per i numerosi dipinti di Mantegna provenienti da musei stranieri. Questi fondamentali rapporti tra istituzioni si devono basare sulla reciprocità dei prestiti. Copenaghen o il Louvre, che ha programmato un mostra di Mantegna per il 2008, prestano in cambio di garanzie, prevedendo di ottenere opere importanti per altre occasioni espositive.
3) Ciò che manca al Ministero è, in tal senso, non un Comitato per i prestiti, ma un Comitato per le mostre ed il loro coordinamento, in Italia e fuori Italia. La mostra di Parmigianino passò da Parma a Vienna, quella di Antonello si è fermata a Roma. E molte occasioni importanti potrebbero prevedere, anche alternando i dipinti, il coinvolgimento di due o più città. Per l'avvenire penso a Correggio e a Pompeo Batoni. Ma il Ministero dovrebbe coordinare queste iniziative. E, intanto, per quelle all'estero, conoscerne le intenzioni e la programmazione almeno dei più grandi musei.
4) Una mostra scientifica può essere anche turistica, ma una mostra turistica può non essere scientifica. Né può essere detta turistica una mostra su tre sedi, con grande impegno di mezzi, di studi, e di proposte. Anche l'allestimento può rappresentare un nuovo modo di conoscere. Per la mostra padovana, oltre alla ricostruzione straordinaria, e straordinariamente scientifica, degli affreschi della Cappella Ovetari, bombardata nel 1944, le opere del Mantegna e dei pittori a lui collegati saranno presentate in un percorso ideato da Mario Botta.
Passiamo adesso all'Annunciazione di Leonardo:
1) L'invio di un capolavoro degli Uffizi, primo museo italiano, al di là dello stato di conservazione, rappresenta la lacerazione di un tessuto espositivo e di conoscenza che è illustrato anche sui libri di testo (ciò vale anche per il Cristo morto del Mantegna). Questo sacrificio, che può anche non essere condiviso dal Direttore e dal Soprintendente, può essere valutato da un Comitato scientifico o dal Comitato di settore del Ministero come una opportunità superiore (per esempio, per la conoscenza dell'artista) della presenza del dipinto nel Museo (d'altra parte l'assenza, conseguente, è temporanea): nessuna offesa ai Soprintendenti, ma una decisione del Ministero con l'autorevolezza dei suoi dirigenti e funzionari, di diretta dipendenza dal Ministro. Così è accaduto con il Cristo morto, che, scientificamente, è stato ritenuto in condizioni di potersi muovere da una restauratrice dell'Istituto centrale del restauro. Se anche questo requisito, come credo, al di là delle perplessità di principio, in parte condivisibili, del Soprintendente e del direttore Antonio Natali, fosse stato verificato per l'Annunciazione (e, non essendo un soldato, sicuramente lo è stato), la mostra giapponese non contribuisce in alcun modo agli studi su Leonardo, e corrisponde, semmai, a una generica propaganda del prestigio o del primato della pittura italiana del Rinascimento.
2) Non è prevedibile uno scambio paritetico. Cos'hanno promesso i giapponesi all'Italia per avere l'Annunciazione? Quale opera, se vi è, è di altrettanta universale importanza?
3) Lo spostamento di un'opera in Italia, e nella stessa Regione, per via di terra, è a rischio zero. Al di là della conservazione, la possibilità di una sparizione dell'opera per distruzione è impossibile. Le casse ignifughe salverebbero il dipinto anche dall'incendio. Per quanto garantito, un viaggio aereo (si ricorda qui quello per nave, guarda caso la Leonardo da Vinci, verso Londra, per il Cristo morto di Mantegna e molti altri capolavori, nel 1929) comporta il rischio estremo di una caduta dell'aereo con la irrimediabile scomparsa del capolavoro. Non sarà augurabile, non sarà probabile, ma è possibile.
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