Quei sedicenti esperti che criticano la Gelmini

Nell’Italia di oggi si entra nel mercato del lavoro sempre più tardi e con un bagaglio culturale sempre più modesto. Vorrei rivolgere un appello al ministro Mariastella Gelmini: si restituisca valore ai diplomi di maturità, che potrebbero sostituire molte delle attuali lauree brevi. Il processo di liceizzazione dell’università va invertito. L’università sta diventando un’area di parcheggio dove si perde sempre più tempo. Ricordo che negli anni ’70 gli istituti tecnici rilasciavano anche il diploma di perito nucleare. Oggi per ottenere un titolo equipollente forse non basterebbe la laurea breve e probabilmente verrebbe richiesto anche il biennio di perfezionamento. Quando la scuola era più seria, bastavano quattro anni di scuola magistrale per formare un buon maestro. Ora non bastano una laurea e una specializzazione per insegnare la grammatica o saper scrivere in italiano. Lei cosa pensa?


Lei ha ragione, caro Valentini, però credo sia meglio non pretendere altro, almeno per ora, dal ministro Mariastella Gelmini. Ma lo vede come è e dunque come siamo combinati? Già alle prime battute della sua controriforma la sinistra s’è fatta prendere dalle convulsioni con tanto di maestre-pasdaran che si sono presentate in gramaglie al primo giorno di scuola. Con frotte di sociologi un tanto al chilo che pronosticano violente crisi depressive con conseguente danno biologico per i poveri bambini e le povere bambine «imprigionate nel grembiule» e dunque private del diritto (umano) di esprimere la propria personalità attingendo a questa o quella griffe d’abbigliamento. Con pedagogisti un tanto all’etto che si scagliano contro la figura del maestro unico sostenendo che l’insegnamento elementare deve essere «multididattico» e «multipersonale», sennò i bambini non si concentrano. E ora, fresco reduce della sua personale Waterloo nelle trattative per l’Alitalia, ancor pieno di lividi e di bernoccoli quel disastro, quel presuntuoso incapace di Guglielmo Epifani proclama: «Andremo allo sciopero generale di tutta la scuola». Ma andare per andare che vada a ramengo, piuttosto! Nella becera campagna anti Gelmini c’è, e salta agli occhi, la malafede, la disonestà intellettuale, la scorrettezza di chi si compiace del «tanto peggio tanto meglio», dove il meglio sarebbe rappresentato dal peggio per Silvio Berlusconi. È la solita opposizione ad personam, ottusa, bovina, senza idee o progetti che non siano quelli di metaforicamente appendere a testa in giù il Cavaliere. Aspirazione che spinge i giustizieri a dare addosso al nemico dicendo e scrivendo fiumi di bischerate però sempre col tono dolente di chi sa a cosa irreparabilmente si va incontro. Ad esempio, il mio politologo di riferimento si dice convinto che «dopo il ritorno del grembiule, della maestra unica, del voto e del cinque in condotta, i prossimi passi saranno il rispolvero dell’abbecedario di Pinocchio», ma pensa tu le fregnacce, «e del calamaio in cui i balilla potranno intingere la penna d’oca». Confessando poi, col groppo alla gola, d’aver sperato che «i cari e bravi maestri elementari» sfuggissero «alle grinfie dei falsi riformatori». E invece - sigh! - no. E a lui dispiace tanto, ma proprio tanto perché «confesso un debole per maestre e maestri elementari. Sono stati i migliori insegnanti della mia vita».

Verrebbe anche a noi da versare una lacrimuccia se non sapessimo che essendo il politologo del ’59, quando frequentò le elementari di maestro o maestra ne aveva una, non frotte. Uno (o una), non solo caro e bravo, ma il migliore insegnante della sua vita. E cos’altro va dicendo, il ministro Gelmini?

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