Quei trasferimenti «d’oro» a Tor Vergata

Alessia Marani

L’ambulanza interna c’è ma è inutilizzata. Ferma da quasi un anno, immobile, davanti all’ingresso del posto di primo soccorso del Policlinico di Tor Vergata. Costata decine di migliaia di euro, attrezzata di tutto punto, ma mai messa su strada. Dovrebbe potere trasportare quei pazienti accettati tramite 118 ma non ricoverabili per mancanza di posti letto (almeno una ventina di casi al mese) e, dunque, da «dirottare» altrove. A occuparsi di questi trasferimenti ad altre strutture, in compenso, ci pensa un servizo privato esterno. Costo complessivo: 720mila euro l’anno, Iva esclusa. Soldi (tanti) che vanno a gravare ancora una volta sulle già vessate casse della Sanità; risorse che potrebbero essere impiegate per risolvere altri problemi. L’alternativa? Lapalissiana: organizzare il personale interno, mettere in moto e fare finalmente uscire dal parcheggio il mezzo di proprietà del Policlinico. Risparmio totale netto: almeno 300mila euro l’anno.
Facile a dirsi, difficile a farsi. Tanto che da mesi sulla spinosa questione si arrovellano i contabili del nuovo polo ospedaliero convenzionato con la Regione Lazio. Senza esito. Anche se qualcuno, a suo tempo (maggio 2005), una soluzione sembrava averla trovata. «Si sa che il Pvt (Policlinico Tor Vergata, ndr) è dotato di propri mezzi di trasporto dedicati, nello specifico un’autoambulanza e un’auto per il trasporto sangue al momento fermi e inutilizzati - scriveva allora nel preambolo di una nota inviata alla Direzione sanitaria, a quella del Dipartimento Amministrativo e alla Responsabile del Servizio Organizzativo, il Direttore del Dipartimento Economico e Finanziario ingegnere Umberto Giliberti -. Alla luce di queste disponibilità e dato l’elevato costo dei servizi appaltati, si è messa a punto la seguente proposta alternativa». In pratica, a fronte di una spesa mensile di 66mila euro più Iva costituita dai costi per lo stazionamento dell’ambulanza privata con autista e infermiere professionale giorno e notte di fronte al pronto soccorso (9100 euro), per l’anestesista (2000 euro), per altri viaggi di infermi in dimissione (250 euro cadauno, circa 20 al mese), per ridurre le «uscite» il Dipartimento Economico propone: «Di agire sulle voci più grosse, ovvero autisti e anestesisti» attraverso «l’adozione di strumenti più flessibili. Quali reperire solo 2 autisti aggiuntivi applicando al gruppo (dunque anche agli infermieri, ndr) la pronta disponibilità contrattuale; ridurre il numero dei nuovi contratti per anestesisti a 2, abbassando pure i costi della reperibilità. Con questa nuova configurazione - concludeva la nota - il costo totale del servizio si riduce a 46mila euro al mese a cui non va sommata l’Iva». «Proposta praticamente accolta dalla dirigenza - affermano gli operatori sanitari - ma che, ancora, non trova attuazione. In particolare, nonostante sia tutto pronto a livello di reperibilità interna del personale, nessuno è stato tuttora richiamato al servizio. La nostra ambulanza resta ferma dov’era». I più «maligni» dicono che ci sarebbero persino difficoltà a trovare scarpe e abbigliamento ad hoc per gli infermieri da trasferire dalle corsie sul mezzo di soccorso.

Assurdo? No, se si pensa che per motivi di «decoro» finora era stato negato l’ok all’apposizione di zanzariere alle finestre e alla messa in posa del vetro antisfondamento di separazione tra dipendenti e pubblico al desk dell’accettazione di pronto soccorso. Solo all’indomani della denuncia sul Giornale apparsa due settimane fa, sarebbero state finalmente prese le misure.

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