Quel 7 in condotta all’antifascista Hack

Caro Granzotto, sono un professore di ruolo e insegno in un liceo statale di Modena. Da qualche giorno non si fa che dibattere sul provvedimento - definito dai miei colleghi di (estrema) sinistra «fascista» o «autoritario» - del ministro della Pubblica istruzione Mariastella Gelmini: la re-introduzione del voto in condotta. In sala professori, dove i comizi si succedono l’un l’altro, non c’è tavolo sul quale non sia dispiegata o «La Repubblica» o «l’Unità» giornali ai quali i comizianti fanno riferimento. Dato che seppur timidamente mi dicevo d’accordo col ministro in quanto il ritorno all’ordine e alla disciplina in classe mi pare opportuno, un mio collega, che sostiene al contrario il diritto dei ragazzi a «esprimersi» liberamente e a manifestare così la propria personalità, mi ha sventolato davanti al naso «l’Unità» ingiungendomi di leggerla, neanche fosse Vangelo. Un’intera pagina dedicata all’argomento, ma di quella mi ha colpito un trafiletto, una intervista alla astrofisica Margherita Hack. Le scrivo proprio per segnalarglielo perché la Hack racconta che rischiò di prendersi un sette in condotta «per antifascismo», aggiungendo: «e nella scuola del 1940 era una gran colpa». In ciò dimostrando che un cattivo voto in condotta può essere un titolo di merito e nel contempo proponendosi come più giovane e ante litteram antifascista d’Italia. Per motivi che le saranno evidenti, la prego di omettere la mia firma.


E sì che mi picco di non perdermi una sola hackata, ma questa proprio m’era sfuggita. Così sono andato a riprendermi l’Unità (vige la regola, in casa mia, che i quotidiani si conservano per due settimane. Poi finiscono nel contenitore giallo della Raccolta carta) e me la sono delibata, l’intervistina. E così la nostra illustre Hack ebbe «una discussione accesa con alcuni compagni di classe fascisti»; e così il professore la denunciò al preside che a sua volta la sospese per quindici giorni annunciandole, per sovrappiù, che si sarebbe beccata un 7 in condotta (la qual cosa quando c’era Lui, caro lei, significava riparare tutte le materie a settembre). Per fortuna scoppiò la guerra e le scuole finirono lì, salvando così la Hack - e poi i pacifisti dicono che le guerre servono a niente - dal dover studiare tutta l'estate. Resta il fatto, assai interessante, della precocità antifascista della Hack, la quale, allorché baruffò con le sue reazionarie compagne, aveva giusto diciott’anni. Non risultano però seguiti a quella prisca denuncia dei crimini fascisti tanto che Margherita Hack è una delle poche personalità ex comuniste (ex? Mah) che non dichiara d’aver fatto parte della Resistenza. Si vede che la minaccia di quel 7 in condotta - e poi dicono che il voto in condotta serve a niente - le fece mettere la testa a posto. Per ricambiarle la cortesia, caro lettore, l’informo che non la Hack, come lei crede, ma Pietro Citati risulta essere, al momento, «il più giovane e ante litteram antifascista d’Italia». L’illustre critico antifascistò, infatti, appena smessi i Pampers e di ciò ne diede ampio conto in una memorabile articolessa apparsa sulla Repubblica col titolo, niente male, di: «Io, Balilla contro».

Non glie la sto a far lunga, ma sappia che il Citati si presentava alle adunate «con la camicia nera di Balilla lisa, il fazzoletto celeste attorno al collo perennemente gualcito, la medaglia col profilo di Mussolini segnata da colpi, le scarpe slacciate». A significare «un odio appassionato e violento» nei confronti del tiranno. A otto anni! Quando la Hack ancora giocava con le bambole.

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