Quel bar di Venezia dove si beve la storia

Clienti leggendari, da Capote a Hemingway e cocktail celebri: così è diventato un mito

E un vecchio volpone, Arrigo Cipriani: sulla copertina del suo ultimo libro (“Harry's Bar”, Spirali) non ci ha piazzato se stesso ma Ernest Hemingway, il testimonial numero uno della premiata ditta. Lo scrittore americano, munito di un curioso cappello di paglia, è immortalato mentre osserva una lunga teoria di bicchieri appena scolati, gomito a gomito con Cipriani Giuseppe, il fondatore, pure lui incappellato ma dall'aspetto decisamente più sobrio. Il lettore, così attirato, già pregusta gli inevitabili aneddoti sui grandi personaggi che da settant'anni affollano il celeberrimo bar-ristorante di Venezia e invece no, stavolta Arrigo Cipriani più che alla leggenda dei letterati lavora alla propria. Di Truman Capote ricorda soprattutto la checcaggine caricaturale. Il romanziere Bacchelli merita una riga solo perché ordinava il rombo. Dino Buzzati era un cliente come tanti. Perfino Hemingway viene parecchio ridimensionato: «All'Harry's Bar ha scritto “Di là dal fiume tra gli alberi”. Il libro non è tra i suoi più belli». Cipriani dietro il sorriso dell'oste nasconde una lingua tagliente che non si ferma davanti a niente e a nessuno. Una buona dose di veleno la riserva ai politici della sua città: «Cacciari è già stato sindaco due volte, e questa è la terza volta. Tutte le volte dice: “Ah, sono stufo di fare il sindaco”. Allora potrebbe andar via, nessuno lo obbliga a rimanere lì». Secondo il titolare dell'Harry's, Venezia non sta affondando per colpa delle maree ma per il peso del turismo di massa che, facendo schizzare i prezzi delle case (e di tutto il resto) alle stelle, rende impossibile la vita in Laguna a chi non è milionario. E infatti, mentre il sindaco si pavoneggia in televisione, i veneziani si trasferiscono a Mestre. «Siamo anche tutti vecchi. Io sono il più giovane che prende il vaporetto». Non bisogna però pensare che “Harry's Bar” sia un libro nostalgico: sarebbe illogico, visto che all'autore gli affari non sono mai andati bene come oggi. È invece la storia di un moderno mercante di Venezia, anzi, di una dinastia di mercanti. A cominciare dal padre Giuseppe, nato a Verona in una poverissima famiglia di muratori, che nel 1931 grazie al prestito del milionario americano Harry Pickering aprì un locale che entrò subito nella leggenda, grazie al carpaccio, al Bellini e a una clientela stratosferica: un giorno pranzarono da lui quattro re, senza essersi dati appuntamento, ognuno a tavoli diversi. La fortuna prosegue con Arrigo, gran lucidatore del mito e animatore di molte attività collaterali, ad esempio la produzione di tagliolini pubblicizzati con la consueta modestia: «La mia pasta all'uovo è stata dichiarata la migliore d'Italia e penso sia anche la migliore del mondo». Oggi la parabola si impenna col figlio Giuseppe (in famiglia l'onomastica non è mai casuale): forse per affrancarsi dal padre onnisciente un bel giorno decise di partire per l'America, conquistandola. Nelle foto inserite nel libro Giuseppe junior è un piacione di lino vestito, ma che non sia il solito debosciato figlio di papà lo dimostrano i numeri del gruppo: 10 milioni di fatturato in Italia, 150 negli Stati Uniti. Ad Arrigo gli brillano gli occhi quando parla di questo rampollo che destreggiandosi fra direttori di banca e donne molto scollate è riuscito a collezionare i ristoranti più belli di New York, alcuni sontuosissimi, altri panoramicissimi (come quello al 65° piano del Rockefeller Center). Sono anche i più buoni? Questo è difficile dirlo, entra in gioco il gusto personale. I giornalisti specializzati si divertono a infilzare periodicamente i locali ciprianeschi, suscitando l'ira della proprietà. Querele? Figuriamoci, le vie legali sono il rimedio dei poveri di spirito. Arrigo Cipriani, che di spirito è ricchissimo, preferisce il contrattacco dialettico. La stroncatura è firmata dalla critica gastronomica del New York Magazine, abituata ad abbinare il cibo all'erotismo? Benissimo, lo stroncato coglie l'occasione per coniare una perfida battuta: «La signora Greene si è dimenticata di levarsi il preservativo dalla lingua prima di assaggiare i miei cibi». Molto meglio circondarsi di clienti docili dal Bellini facile, tipi tranquilli alla Woody Allen che ovunque si trovi, America o Venezia, corre da lui per farsi rifocillare. Se una star alza troppo la cresta ci pensa Mister Harry a fargliela abbassare, semplicemente trattandolo come un cliente comune. «Una sera telefonano da un albergo di Venezia: “Abbiamo due clienti importantissimi, Nicole Kidman e Tom Cruise”. Quando mi dicono queste cose rimango sempre molto indifferente». Cipriani i vip li usa per fare arredamento o per imbastire surreali carteggi come quello con Fausto Bertinotti: «Viene spesso, è molto affezionato. È alla ricerca di Dio e per questo ci siamo scambiati anche un paio di lettere in cui gli dicevo di abbandonare la ricerca».

L'affezionato presidente comunista della Camera dovrebbe proprio leggersi «Harry's Bar»: scoprirà l'opinione di Cipriani non solo sull'Altissimo ma anche sui sindacati (pessima) e sulle tasse (peggio che andar di notte: è fiero della sua società domiciliata in Lussemburgo).

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