Quel corpo che non ti deve mai tradire

Certo, negli archivi ci restano i risultati, gli ordini d’arrivo, i tempi e le medaglie. Ma gli archivi sono certificati della memoria, non dispensano emozioni. Per quelle, bisogna rivolgersi alle storie. E a chi le sa raccontare. Come Emanuela Audisio, giornalista di Repubblica e rabdomante dello sport: il suo ultimo libro, Il ventre di Maradona (Mondadori, pagg. 225, euro 15) è il giro del mondo in trentotto storie. Senza tempo e con una legge sopra tutte che le regola: quella del corpo.
Scrive Audisio: «I corpi comunicano grandezze e tragedie». E poi ancora: «I corpi fanno cose sbagliate, tradiscono, inciampano. Non assimilano più le calorie del mondo, le voglie dello sport, non fanno più spazio all’anima. Si drogano di lussi e vanità, ingrassano di vizi, strabordano di miserie. Però, i corpi non dicono bugie, in questo sono perfetti, restituiscono verità. E non solo pelle tatuata».
Storie di successo ma anche dannate. Di altari ma anche di tanta polvere. Dove i lividi di Angelo Jacopucci fanno a pugni con il culo di David Beckham. La storia del pugile con «la faccia alla Rino Gaetano» che scende dal ring, sconfitto, butta un occhio pesto ai giornalisti e dice: «Stasera vi sono piaciuto, eh?». Sarebbe stato il suo ultimo incontro, aveva un negozio da aprire e troppe ferite da chiudere. Era, quella, l’ultima tragica recita del «Clay dei poveri», non voleva prendere cazzotti per non rovinare la faccia pulita. «Non ha coraggio», gli dicevano. Provò a darselo, gli restarono i lividi e un edema cerebrale che mise fine ai suoi 29 anni. Sulla stessa giostra, ma con un posto privilegiato, c’è salito David Beckham. Scrive di lui Audisio: «Uomo con sensibilità da donna. Metrosexual. Diva e profumo di bellezza. Forse dovrà scegliere se essere più faccia o piedi». Forse.
Audisio accoppia i suoi protagonisti. Senza regole. Né di tempo né di legge, se non quella del corpo. Appunto. Così Sonny Liston viaggia mano nella mano con Diego Maradona. Liston, il pugile che nemmeno sapeva la sua data di nascita, «forse il ’29, forse il ’33». Campione dei pesi massimi nel ’62, le mani con una circonferenza di 38 centimetri da non trovare nemmeno i guantoni. Scoprirono prima le cicatrici e poi il suo cadavere, «era un cattivo negro, ha avuto quel che si meritava», dissero nell’ufficio dello sceriffo. Sonny Liston, offeso nel corpo e nell’anima. Maradona: che si fa togliere un pezzo di pancia perché di offese dal suo corpo, sformato e slabbrato, ne ha già ricevute troppe. L’uomo dalle molte vite, troppe persino per qualcuno, continua il suo saliscendi: quei 130 chili più pesanti dei suoi guai, «Marlon Brando con metà degli anni», cominciano la dissolvenza durante un intervento chirurgico, dieci centimetri di stomaco in meno. Un altro calcio di inizio per Diego e la sensazione che sia sempre il penultimo.
Calcio e pugilato. Auto e moto, Senna e Rossi. Tennis e atletica: Evert e Connors e Nurmi e Bekele. Alex Zanardi, l’uomo senza gambe, il pilota dimezzato. Ma anche Patrick de Gayardon, il figlio di Icaro e Kareem Abdul Jabbar, prima star della pallacanestro professionistica americana, la Nba, una faccia da cartone animato, due occhialoni da circo e un movimento inventato da lui: il gancio cielo, un colpo a uncino lassù dove l’aria la respirano in pochi. Si convertì all’Islam, era Lew Alcindor e divenne Kareem Abdul Jabbar. Chiuse a 42 anni.

Poi scrisse una storia degli eroi afroamericani meno conosciuti che contribuirono alla nascita degli Stati Uniti. «Lui, il più grande pivot di tutti i tempi a occuparsi di quelli relegati nell’ombra. A guardar giù, per far capire che non esistono vite piccole, fuori misura». Solo vite. Che aspettano di finire dentro una storia.

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