Quel giudice no global sulle barricate

Fra i ribelli a Chiaiano l’ex pm Quatrano, ora al tribunale del riesame: «Ero lì per vedere»

Rieccolo. Nicola Quatrano è rispuntato nella polveriera di Chiaiano, vicino alla barricata di cassonetti e filo spinato. «Ero lì per vedere», si è giustificato. Se è per questo il 17 marzo 2001 era in piazza con i no global di Napoli, la sua città. E anche allora fu lesto a impugnare lo scudo: «Avevo accompagnato i miei figli alla manifestazione». Nel 2006, quando il suo nome era stato inserito nella lista di 68 personalità che invitavano al voto per Rifondazione comunista e il procuratore generale di Napoli lo aveva rimbrottato per essersi esposto in quel modo, lui si era difeso brandendo la Costituzione: «Sono libero di esprimere le mie opinioni, come tutti i cittadini».
Sono anni che le sortite di Quatrano finiscono sui giornali e sono anni che lui rivendica il suo essere padre, cittadino, militante. Tante, forse troppe attività su una tastiera delicatissima: quella di giudice. Sì, perché l’ubiquo Quatrano svolge una professione particolare che ha nell’imparzialità le sue fondamenta: è stato Pm negli anni Novanta e ovviamente l’hanno paragonato a Di Pietro, poi gip e ora è al tribunale del riesame. Dove tutto il suo sistema intellettuale potrebbe andare in cortocircuito: non è escluso che prima o poi gli capitino gli arresti di Napoli e Chiaiano.
Lui, naturalmente, ha una spiegazione per tutto, anche per questo blitz in prima linea: «Non partecipavo al corteo - ha detto al Corriere della sera -: ero lì solo perché i miei colleghi giuristi dell’Osservatorio internazionale mi avevano chiesto un report, preoccupati dal clima». Peccato che lo Stato italiano gli abbia chiesto solo di valutare i reati commessi nel suo territorio. Ma lui si muove sul mappamondo. Nel 2006, per esempio, viene bloccato all’aeroporto di El Ayoun, in Marocco per alcune ore: Quatrano a sua volta è lì a monitorare il rientro in patria di Aminattou Haidar, paladina del popolo Saharaoui, a rischio arresto. Dall’Africa martoriata alla monnezza di Gomorra il passo è breve. «Prendiamo il caso spazzatura - filosofeggia - è illusorio pensare di risolverlo con una prova di forza». Detto da un magistrato che dovrebbe punire chi viola la legge fa un certo effetto. E che, sgradevole infortunio, fra un viaggio e l’altro non si era accorto che il figlio dodicenne aveva inviato dal suo pc una falsa rivendicazione del delitto D’Antona. Sui clandestini siamo sempre alle stesse latitudini: «Decine di migliaia di immigrati sono in arrivo. Che facciamo, gli spariamo addosso?». Lo scalcagnato Stato si accontenterebbe di molto, molto meno: un filtro a tutela della legalità.

Lui obietta, contesta, immagina: La verità è un topo, s’intitola il suo primo giallo a cui seguirà presto il secondo, ambientato fra i disperati sul fronte dell’immigrazione. «Ho questo vizio: mi piace capire». E stare in prima linea. Vicino, vicinissimo, a chi poi dovrà giudicare.

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