Quel maldestro spoil system contro i malati

Pietro Mancini

Ma il nuovo partitone progressista deve ispirarsi ai democratici americani di Kennedy e di Clinton, come vorrebbe Veltroni, o al socialismo europeo di Mitterrand e di Brandt, come sollecitano D’Alema e Fassino? L’angoscioso dilemma sta dilaniando i capi della Quercia, ma non appassiona affatto Romano Prodi che, nel fuoco della polemica sul riassetto di Telecom, ha rivelato la sua vera natura di eterno «democristianone». Per il Professore, si stava meglio ai tempi dell’Iri: «Ci vorrebbero i manager pubblici di una volta, gente come il compianto don Ernesto Pascale, che aveva ben altro senso del dovere rispetto a Tronchetti Provera...». Con questa esternazione del Professore, insieme alla nostalgia per un passato tutt’altro che esaltante, riemerge l’interrogativo: ma il portabandiera della nuova Italia può essere proprio Romano, già ministro demitiano dell’Industria nel governo Andreotti del periodo 1976-79 e per 9 lunghi anni presidente dell’Iri, carrozzone clientelare spesso al centro di polemiche e di accuse per i finanziamenti illeciti ai partiti? Eppure il Professore, grazie anche alla buona stampa di cui ha sempre goduto, non ha mai smesso di sbandierare di esser riuscito a risanare l’ente delle vecchie Partecipazioni Statali, quando in realtà si preoccupò unicamente di svendere il patrimonio dello Stato - esemplare fu la cessione a prezzi di saldo della Sme a De Benedetti - e di sperperarne le risorse.
Non a caso il rimpianto di Prodi per i bei tempi trascorsi si è manifestato nello stesso giorno in cui il Consiglio di Stato ha archiviato uno dei primi, sgangherati assalti alla diligenza, sferrati dallo squadrone dei 102 governanti unionisti, riaffidando al professor Francesco Cognetti (designato dall’esecutivo Berlusconi) il prestigioso incarico di direttore scientifico dell’Istituto Regina Elena di Roma. La decisione del ministro della Salute, la dalemiana Livia Turco, è stata sconfessata su tutta la linea. Appena insediata, aveva nominato tra vivaci e giustificate proteste, una dottoressa, Paola Muti, con un curriculum decisamente meno brillante rispetto a quello di Cognetti, sostenuto, tra gli altri, dal premio Nobel Rita Levi Montalcini.
La pronuncia del Consiglio di Stato restituisce lo stimato oncologo al suo prezioso lavoro, ma non può peraltro non suscitare dubbi e preoccupazioni sulle pretese lottizzatorie di larghi settori del centrosinistra, che non si fermano neppure davanti alle drammatiche esigenze nella lotta al cancro.
Dalla conclusione di questa vicenda scaturisce un monito per Prodi, la Turco e Marrazzo, il governatore veltroniano del Lazio, che aveva approvato la cacciata di Cognetti: la politica resti fuori dagli istituti di ricerca, dagli ospedali e dalle cliniche. L’auspicio è che la figuraccia rimediata dalla Turco induca il ministro della Salute e il capo del governo a comprendere che vanno privilegiate la qualità della ricerca scientifica e l’efficienza dei servizi agli ammalati, archiviando vecchi metodi e la sfrenata caccia alle agognate poltrone.

Che assomigliano, più che al tanto celebrato spoil system, a frettolosi e caserecci ribaltoni.

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