Quel meraviglioso lato nascosto del maestro Muti

E' uno dei cinque o sei simboli viventi più significativi d’Ita­lia. Un mito da esportazione, ma anche un profeta in patria. Il suo ritorno al Teatro dell’Opera di Roma è una festa nella festa

Quel meraviglioso lato nascosto del maestro Muti

Riccardo Muti è uno dei cinque o sei simboli viventi più significativi d’Ita­lia. Un mito da esportazione, ma anche un profeta in patria. Il suo ritorno di doma­ni al Teatro dell’Opera di Roma, dopo la brutta scoppola al cuore e alla mandibola a Chicago, è una festa nella festa. E poi il Nabucco verdiano mette d’accordo tutti, perfino i leghisti che amano il Va’ pensie­ro.

Vorrei raccontarvi il lato nascosto di Muti, non quello globale e musicale di cui tutti parlano; ma il lato locale e triba­le, di ragazzo di Molfetta, il suo borgo na­tìo. A cena con amici, stimolato da un suo conterroneo (che sarei io) ha raccontato la vita da uagnàun mulfettaise, per dirla nel gergo indigeno; ha ricordato episodi gustosi e pittoreschi modi di dire della sua infanzia molfettese (a proposito, quando parlava in italiano Papa Wojtyla aveva una strana inflessione molfettese). A tavola Muti era seduto in mezzo, a un estremo c’erano alcuni impresari musica­li americani, proprio di Chicago, che lo sollecitavano su temi globali e musicali e all’altro c’ero io che lo sfruculiavo sul lato etnico e provinciale. Muti ha saputo me­scolare in un felice mixage glocale, dialet­to pugliese ed esperienze americane, shakerandoli con esiti spassosi. Si è perfi­no imbarcato in una spericolata traduzio­ne per gli amici americani di crude usan­ze pugliesi e intraducibili espressioni del gergo molfettese, fino a spingersi con brio in virtuosismi sulla variante terlizze­se ( il terribile dialetto di Vendola). Conci­liare Verdi e Checco Zalone non è impre­sa comune. Ma l’emozione più forte me l’ha data quando ha rivelato d’aver avuto come suo primo maestro di musica il compaesano Aldo Gigante che fu anche mio insegnante di musica a scuola. Lì è volata la mia autostima in un versante fi­nora non considerato: è bello sentirsi na­ni sulle spalle di giganti. D’ora in poi po­trò vantarmi in giro di provenire dalla stessa scuola di Muti.

Dirò: sai, ci siamo formati con gli stessi maestri, poi lui ha continuato con la tradizione classica e liri­ca; io invece ho preferito la sperimenta­zione, fino a raggiungere la musica perfet­ta, la musica senza musica. Il silenzio, in­terrotto dal cucù...

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