Esilarante e spericolato scambio epistolare tra due finti ingenui che s’interrogano su grandi temi: Adriano Celentano e Maurizio Cattelan che si sono scambiati sperticati complimenti sul nuovo numero della versione tedesca di Interview, la rivista creata da Andy Warhol.
Cattelan è attanagliato dal dubbio sul vero significato del testo della canzone Chi non lavora non fa l’amore . Una questione urgente, alla quale Celentano risponde con straordinario senso di responsabilità e atteggiamento grave e solenne: «Il mio intento era lanciare una provocazione ai datori di lavoro facendo un parallelo con gli operai che, senza lavoro, perdevano anche la serenità. Come potrei io, con la mia storia familiare, essere contro gli scioperi,l’unica arma democratica per fare rispettare i diritti delle persone più deboli e dare loro voci? ». E per essere più convincente aggiunge: «Sono figlio di emigranti, poveri, onesti e allegri».
Finalmente il dubbio che ci tormentava da anni, è sciolto. Celentano ci tiene a farci sapere che è anche una persona alla mano. E che non è vero che «esce di rado e parla ancora meno». Sappiamo tutti, infatti, che se gli diamo 300mila euro per mezz’ora di conversazione, egli è pronto a esprimere il suo «misero pensiero ». E che vuole che si comprenda: «Parlo in modo semplice, è vero, comprensibile, e a volte questo può spaventare. Non c’è nulla di più pericoloso che farsi capire».
Possiamo ritenerci soddisfatti. Un milionario scrive a un milionario, parlando di operai, di persone deboli, di studenti, senza alcuna demagogia, per carità, con parole semplici. Non ci risparmia neppure la storia di suo padre per il pudore di non dovere di fare riferimento alla propria.
Si ha la sensazione che non sappia bene il significato delle parole e che scambi per semplice un pensiero inutile, per comprensibile una considerazione banale, per chiaro quello che è ovvio.
Cattelan se ne sta rispettosamente a distanza, ammirando le gesta del suo idolo democratico; non si espone, ma ricorda momenti indimenticabili come l’apparizione di Celentano «in sostegno a Tony Renis». È veramente commovente. Felice come un bambino invoca, ancora «qualche minuto di libera imprevedibilità ». Ma non perde occasione per farci una rivelazione: quella di aver seguito il consiglio di Celentano, durante un Fantastico , di spegnere il televisore. Quel consiglio fu così convincente che ancora oggi Cattelan non ne possiede uno. E qui si espone a una, pur veniale, contraddizione. Infatti, dichiara, ispirato, di non vedere l’ora che arrivi Sanremo. Ovviamente per rivedere Celentano.
Ma come potrà, se ha dichiarato di non avere il televisore, proprio su suggerimento di Celentano? Chiederà ospitalità a qualche semplice operaio?
In questo florilegio di insensatezze, molto semplici e dignitose, non poteva mancare la conclusione: sbagliata se espressa da qualunque cittadino onesto, vomitevole se «rivelata» da Celentano: «È vero che diffido della classe politica: ha creato impunemente i disastri che stanno affondando la vita delle persone, negandogli la dignità di un lavoro, il diritto allo studio uguale per tutti, il diritto di curarsi tutti allo stesso modo. Forse i politici dovrebbero essere affiancati da filosofi e poeti per sperare la cultura dell'onestà e della sapienza. Per tentare di ricostruire un mondo serio e illuminato».
Non voglio fare l’analisi logica di queste affermazioni, ma ricordare al compiaciuto «re degli ignoranti», Michel de Montaigne, che per parlare dell’uomo riteneva opportuno parlare di se stesso, che era l’uomo che conosceva meglio. E dunque, Celentano, «figlio di emigranti poveri, onesti e allegri », può onestamente dichiarare che i politici gli hanno negato, anche in tempi più difficili di questi, «la dignità di un lavoro», «il diritto allo studio», «il diritto di curarsi »?
Può dire che gli è stato negato tutto questo? E che è ignorante per colpa della classe politica?
Chiede e ottiene 300mila euro al giorno, e forse 750mila, con lo sconto,in tre giorni (l’equivalente di un miliardo e mezzo di lire) dalla televisione di Stato amministrata da politici, e ha il coraggio di parlare di negazione della «dignità del lavoro»?
Ma con che faccia? E perché non dice il suo «misero pensiero » (non misero) gratis? Ovvero, per rispetto degli operai che guadagnano 1.200 euro al mese (e non 300mila euro in mezz’ora) per 30 o 40mila euro a puntata, pertinente e ben remunerato compenso per una buona prestazione canora in cui egli, anche come interprete, eccelle?
Perché non si accontenta di 120mila euro che sono cento volte di più dello stipendio del, quello, sì, «misero», operaio, della sua canzone?
È forse perché ignorante che auspica «un mondo serio e illuminato », grazie a filosofi e poeti, contrariamente al pensiero di Benedetto Croce, che era filosofo e politico, e trascurando di riflettere al fatto che la politica è una espressione del pensiero, un modo di essere della filosofia, da Platone ad Aristotele a Machiavelli, già giù fino a Croce, Gentile, Gramsci, Gobetti, e per arrivare fino ai nostri contemporanei, Volponi, Calasso, Cacciari, Colletti. Persino Gino Paoli fu parlamentare. E non risulta che la politica sia migliorata con la sua presenza.
Ma se Celentano è convinto che la soluzione sia questa, invece di parlare, invece di prendere 750mila euro in tre ore, si candidi. Scoprirà allora che i politici, per andare in televisione a dire il loro «misero» pensiero, non prendono un euro.
Cattelan, silenzioso, lo osserva.
E hanno il pudore di non parlare dei poveri. In fondo, i disprezzati politici si accontentano, «vituperati e vilipesi », di 12mila euro al mese. Celentano li prende in un minuto.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.