Dimenticare la propria bambina di poco più di un anno in macchina, sotto il sole, è una distrazione che non ha nessuna possibilità di essere giustificata. Però, proprio la banalità di questa distrazione, tanto più grave ora che per la bimba è stato decretato lo stato di morte, sposta lattenzione sul sentimento di colpa del padre, responsabile di una simile, assurda, evitabilissima tragedia.
Supponiamo per un momento che la causa di quel che è successo alla bimba, anziché banale fosse stata spaventosa, imprevedibile, misteriosa: le sue conseguenze sarebbero state più accettabili. Perciò, anche se una persona avesse delle responsabilità nella vicenda che ha portato al disastro, per il fatto stesso che allorigine ci sia stato un motivo tanto spaventoso o imprevedibile, si sente meno colpevole, come se la crudeltà di un destino che ha provocato la probabile perdita del figlio, abbia voluto coinvolgere tutti, sia la vittima, sia chi, forse, avrebbe potuto evitare la tragedia con un po di fortuna e di coraggio.
Ma di fronte a una causa tanto banale! Una dimenticanza, una distrazione che si potevano evitare nel modo più semplice, con il comportamento più ovvio, diventano atti daccusa così spaventosi da lasciare attoniti. Il padre che ha abbandonato la bambina nella macchina chiusa sotto il sole, che ha seguito la sua agonia per un paio di giorni, che lha vista morta nel letto dospedale non potrà mai avere una giustificazione, un appiglio seppur piccolo a cui aggrapparsi per liberarsi da una colpa tanto tragica quanto è stata banale la sua causa. E non riuscirà a darsi pace, continuerà a colpevolizzarsi, imponente anche di fronte al dolore della moglie. Quelluomo non troverà nessuna vera consolazione, e questa sarà la sua più crudele punizione.
Si pensi a quel gesto meccanico del braccio che chiude la portiera della macchina, a quellimpercettibile movimento del dito della mano che schiaccia il pulsante della chiave per bloccare le serrature delle porte, e poi ai passi che si allontanano dalla macchina che sta per trasformarsi in una bara. Dovera la testa di quelluomo che si muove come un automa, che forse sta facendo le stesse cose di ogni giorno quando va a lavorare, ma senza avere in macchina la figlia?
Ha una quarantina danni, una professione, una famiglia. Non sappiamo niente della sua vita privata, ma una cosa è certa: per un uomo, quella è letà delle decisioni irrevocabili. Bisogna mettere a frutto quanto è stato fatto e lavorare per quegli obiettivi che non sono stati raggiunti. Cè un passato che preme sul presente per essere archiviato con successo, e un futuro che si assottiglia, giorno dopo giorno, e chiede di essere affrontato con decisione.
Sono convinto che quello sciagurato papà, mentre chiudeva la portiera e si allontanava dalla macchina, avesse la testa immersa in quei pensieri che si affannavano per capire come risolvere i consueti problemi di un uomo di quarantanni. Adesso quei problemi gli appariranno una piccola cosa di fronte alla morte della figlia provocata dalla sua distrazione.
Un lutto così grave, che ha come causa una responsabilità senza attenuanti, non si riesce a cancellare, rimane come una ferita il cui dolore continuerà a ricordare quali siano le cose davvero importanti della vita. Perché cè stata quella fatale distrazione? Forse perché si tende a considerare come qualcosa di scontato la famiglia, i figli: loro ci sono, rappresentano una realtà ovvia, perfino facile da ottenere. Le difficoltà sono altre: il lavoro, il denaro, la competizione e la concorrenza con gli altri, il successo, i debiti. Poi una tragedia apre gli occhi: si possono aprire a tutti noi anche se non abbiamo patito quella tragedia, ma proviamo a riflettere su quella degli altri. Spesso si sente dire che la nostra società non ha più valori. Non credo sia così: piuttosto è incapace di costruire una gerarchia di valori, cioè di stabilire quali siano quelli importanti, quelli meno e quelli insignificanti.
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