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Quel pentito «pistolero» e sensitivo

nostro inviato a Parma
Ci mancava soltanto l'ex pentito. E ci mancava anche la sensitiva. Peggio, ci mancavano soltanto un pentito e una sensitiva legati, a quanto pare, da una relazione più o meno sentimentale. Perché in assenza di fatti certi e deposizioni attendibili, nella tragica e dolorosa vicenda di Tommaso Onofri, il bimbo di 17 mesi strappato giovedì scorso dalla sua casa di Casalbaroncolo, ora fanno irruzione i personaggi di serie B, le mezze calzette. Rendendo questa brutta storia ancora più tragica e dolorosa.
Ieri, infatti, le luci della ribalta hanno dato momentanea e si spera effimera notorietà a Pasquale Gagliostro, 46 anni, un pregiudicato calabrese trasferito d'urgenza a Parma dalla sua cella del carcere di Ferrara per essere interrogato sul rapimento di Tommy. Era stato lui, nei giorni scorsi, a margine di un processo in Calabria, dove compariva come testimone, a confidare a un magistrato di essere a conoscenza di informazioni sul sequestro del piccolo.
Forte della collaborazione concessa agli inquirenti nell'aprile 1995, con cui aveva contribuito a portare al fermo di 30 persone nell'ambito di quella che era stata definita Operazione d'oro, l'uomo era stato assegnato alla sezione collaboratori di giustizia del carcere di Ferrara, godendo di conseguenza di un particolare regime di protezione e di stretta collaborazione. Trattamento vantaggioso, rispetto a quello dei detenuti comuni, ma tuttavia tale da non qualificarlo come un vero e proprio ex pentito.
La sua stessa statura criminale, del resto, fa di lui qualcosa di più simile a quello che nel gergo della cronaca nera viene comunemente definita una mezza tacca. Per dirla alla siciliana, più un «quaqquaraquà» che un «mammasantissima». Gagliostro, seppure originario della Calabria, non solo non è considerato un affiliato alla 'ndrangheta, ma non è nemmeno accusato di reati associativi. Lui si è fermato molto più indietro, ai reati contro il patrimonio, roba del tipo emissione di assegni «cabriolet» (ovvero scoperti) e più genericamente di truffe. Un profilo criminale di seconda fila, il suo, a cui lui ha tentato tuttavia di ovviare esibendo un soprannome più minaccioso - «il pistolero» - che sa tanto di auto-battesimo più che di qualcosa guadagnato sul campo.
Ma se Gagliostro si era conquistato in Calabria la fiducia di alcuni magistrati, come quelli che definirono la sua collaborazione «essenziale e importante», tra quelli che gli danno poco credito ci sono addirittura i suoi stessi parenti. «Non credo a niente di quanto sta dicendo mio zio, non lo reputo attendibile», ha dichiarato proprio ieri Isabella Gagliostro, sua nipote. «Lui è già stato collaboratore per due anni - ha raccontato la donna - ma è un pentito fallito. Sulla sua testa grava una pena e tutti i collaboratori, pur di avere benefici, dicono quello che devono dire. Lui ha potuto sapere qualcosa, o a malapena sapeva qualcosa, e da questo si è inventato una favola. Da un sentito dire, o da un semplice indizio, ha creato il suo castello». Una voce che arriva dal Sud, ma che parrebbe coincidere con quella diffusasi sempre ieri a Parma.

E cioè che Gagliostro avrebbe avuto una relazione proprio con una delle due sensitive che l'altroieri si erano spontaneamente presentate agli inquirenti sostenendo avere percepito qualcosa. Due «qualcosa» che si sono però infranti contro gli impietosi e duri scogli delle verifiche.

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