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Quel pupazzo felice icona di se stesso

Maradona è un pupazzo felice. Ma­radona ne ha per tutti. Anche i bookmakers inglesi di lui si occu­pano. Anzi una delle puntate pro­poste fino a ieri era la seguente: con chi se la prenderà per primo Diego Armando? Cin­que volte la posta per la Fifa, quattro volte per un arbitro.Non l’hanno azzeccata.Marado­na ha mandato al museo Pelé, che è anche nero, e ha detto che Platini si crede chissà chi mentre lui, Diego, lo ha sempre tenuto a di­stanza, ciao, buona sera e arrivederci. Mara­dona è un bambino felice. Dimagrito nel cor­po, sembra anche nei centimetri di altezza. Ogni tanto sembra Nino Frassica di Quelli del­­la notte , simpatico, direbbe Massimo Morat­ti­che utilizza in dosi industriali questo agget­tivo. Ieri Maradona saltava, abbracciava, ba­ciava tutti i suoi ragazzi che avevano travolto la Corea. Le sue sceneggiate sono meraviglio­se, con il rosario tra le mani, Merola era un dilettante.Questo è Maradona,non altro,ico­na di se stesso, fragile e imprevedibile, genui­no e maledetto. Non ama avere altri davanti allo specchio, specie se hanno carriera e illu­strazione simile e, al tempo stesso, diversa dalla sua. Pelé è un nemico ufficiale, Platini una figura con la quale non ha mai avuto nul­la in comune, se non l’amore per il football che, dovrebbe lui saperlo, è la cosa più impor­­tante, più sana rispetto alle beghe da comare. Si potrebbero ricordare alcune sue bravate all’epoca della partita di addio al calcio di Pla­tini, a Nancy, ma sarebbe ingiusto infierire su quel tempo di feste e festini. Ieri Maradona ha ricevuto una lettera dal presidente dell'Ue­fa che gli chiariva, parola per parola, quello che lui, Platini aveva dichiarato alla stampa: «Maradona è stato un grandissimo calciato­re, l'ho conosciuto. Adesso è un allenatore», punto e a capo. In conferenza stampa Diego ha voluto segnalare ai giornalisti la lettera e ha aggiunto: «Mi dispiace davvero di avere detto quello cose ieri su Platini». A ripunto e a ricapo. Ecco dove sta Maradona, si accende e si spegne, nessuno ha davvero mai badato a lui se non per succhiarne il miele, per appro­­fittare della sua fragilità, della sua sensibilità scoperta. Roba passata, antica, segni distintivi di un bambino mai cresciuto o di un uomo che fin­geva di essere bambino. Vederlo oggi, allena­tore in campo, è una bella vittoria. Diego Ar­mando è sempre Maradona, un personag­gio unico, emozionante e, a volte, patetico, quando sembra invocare la madonna, quan­do cerca di calciare ancora un pallone che è stato il suo, il nostro giocattolo. Il resto non dovrebbe appartenere al Campione, al pro­fessionista maturo; è soltanto scoria di un pe­riodo­volgare e violento che fu e che ogni tan­to torna a vincere. L’Argentina ha vinto, Ma­radona ha vinto. Senza Veron, il suo predilet­to.

Ma questo non si può e non si deve dire, altrimenti Diego Armando torna quello di prima. Fuori dal campo, intendo, perché in partita, unico, irripetibile. Avrebbe potuto giocare vestito come si addobba oggi in pan­china. Sarebbe stato lo stesso.

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