Quel «re» in uniforme con doppia identità

È morto da anni ma c’è chi dice che sia ancora vivo e vegeto. Era mezzo indiano e mezzo scozzese, fece l’informatore dell’Fbi e cadde in depressione quando la moglie alla fine lo lasciò

Mentre si costatava la morte del Nostro, trent’anni fa, John Burrows fu visto comprare un biglietto aereo per Buenos Aires. Nelle ore successive, radio e tv trasmisero i particolari del decesso. La morte era avvenuta per aritmia cardiaca, il corpo era stato trovato nella casa in stile coloniale del defunto, la costernazione era unanime.
Le notizie rimbalzavano in ogni angolo della terra. John intanto atterrava a bordo di un Boeing 747 nell’aeroporto militare argentino di Palomar, nei pressi della capitale. Jorge Daniel Garcia, che allora era un giovane di leva e oggi è un testimone chiave, osservò la scena. Ad attendere Burrows c’era una limousine che partì a grande velocità verso la Pampas. L’auto sparì dietro una curva e di John si persero per sempre le tracce.
In questi giorni, l’edizione sudamericana del Rolling Stone ricostruisce la storia con enorme battage pubblicitario. Ha affisso manifesti con la faccia che il Nostro avrebbe oggi a 72 anni e la scritta «Wanted», come si usava nel West. Secondo la rivista, il Nostro e Burrows sarebbero la stessa persona. Burrows era infatti il nome di copertura che il presunto morto usava in vita per mettersi in contatto con l’Fbi. Era noto che fosse un informatore di punta del Federal Bureau in operazioni contro la mafia e che, perciò, si recasse spesso a Washington. Incontrò in segreto anche il presidente Usa Richard Nixon, per raccontargli di persona le attività illegali in cui, tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70, erano coinvolte diverse celebrità e per offrirgli i propri servigi nella lotta contro la droga.
Questa temeraria attività finì per mettere in pericolo la vita dell’informatore che cominciava a essere sospettato dalle bande criminali. Di qui, spiega Rolling Stone, la decisione di sottrarlo alla vendetta facendolo sparire. Nacque così il più gigantesco programma al mondo di protezione dei collaboratori di giustizia. Il primo passo fu fingere la morte del Nostro e il suo trasferimento in Argentina. Da allora, il compianto sarebbe vivo e vegeto in qualche luogo dell’immensa Pampas. Invecchia serenamente - conclude la rivista - custodito da Fbi, Cia e polizia di Buenos Aires. «Il segreto meglio conservato della storia», come afferma Jeronimo Burgues, scrittore bairense che da anni si occupa del mistero.
Tuttavia, dopo il suo rocambolesco insediamento sudamericano, il presunto morto è stato avvistato anche altrove. Una volta, mentre acquistava una lattina di birra in un supermercato del Texas; un’altra in auto a Seattle, un’altra ancora mentre passeggiava in Illinois; infine in un ristorante in Germania. In conclusione, quale fine il Nostro abbia davvero fatto, nulla si sa. Potrebbe essere sepolto a Graceland come vuole la versione ufficiale; vivere in Argentina secondo la ricostruzione del Rolling o essere morto lì diversi anni dopo per uno dei suoi molti acciacchi. Infine, non è neppure escluso che tuttora si aggiri in incognito tra America ed Europa.
Pellerossa cherokee per parte di madre, scozzese dal lato paterno, il Nostro crebbe in un ambiente molto religioso. Era assiduo con la famiglia dei riti della Chiesa Evangelica delle Chiese di Dio, una delle tante sette millenariste statunitensi. Fu un ragazzo diverso da tutti gli altri. Mentre i coetanei portavano il taglio militare, lui inalberava ciuffo e basettoni, indossando vestiti sgargianti comprati nei negozi che, secondo le regole allora in vigore dell’apartheid, erano riservati ai negri. Faceva il camionista per aiutare la famiglia e nel tempo libero cantava, accompagnandosi con la chitarra.
Un giorno passando davanti alla Sun Records, una saletta di incisione del discografico Sam Philips, vide che con un dollaro si poteva incidere un disco. Decise di registrarne uno per regalarlo alla madre. «Che stile hai?», gli chiese Philips. «Tutto mio», rispose. «A quale cantante ti ispiri?», domandò l’altro. «Il mio sound è come quello di nessuno», replicò lui e cominciò a cantare. Philips rimase di sasso e decise di lanciarlo.
Il successo fu mondiale e travolse il giovanotto.

Parenti e amici gli si misero intorno - una ignobile cricca che prese il nome di «Memphis Mafia» - isolandolo da tutti per sfruttarlo a piacimento. Il Nostro cadde in depressione, si riempì di anfetamine, ingrassò malamente, si ammalò di cuore. A 37 anni era morto. Sempre che lo sia davvero.
Chi era?

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