Quel silenzio sulle ingiurie al vicesindaco

Da circa tre mesi il vicesindaco Riccardo De Corato riceve una particolare attenzione dagli estremisti di un’irriducibile sinistra violenta che non rispetta le regole della civile convivenza. Attenzioni pesanti: minacce di morte, insulti, fotomontaggi e scritte ingiuriose. Il collegamento fra i messaggi offensivi e di morte e i giovani dei collettivi e dei «movimenti» è dato dal fatto che alcune scritte sono comparse sui muri dell’ex sede di un centro sociale, un’altra «composizione» (De Corato e il sindaco ritratti in tenuta militar-dittatoriale) è stata apertamente firmata dai giovanotti del Leoncavallo.
Si indaga, ma sappiamo tutti che non è molto facile impedire la fioritura delle scritte nella notte delle città italiane. Ma perché il vicesindaco è nel mirino? Semplice, da molto tempo s’impegna sui temi della sicurezza, ascolta lamenti e proteste dei cittadini che premono su Palazzo Marino ed è attivo nel contrastare forme di abusivismo (dai campi rom alle occupazioni di case e aree) e di illegalità.
Nella logica dei ragazzi dei «movimenti» darsi da fare per ottenere il rispetto delle leggi è una colpa grave, gravissima, di qui le minacce di morte, i tentativi di intimidazione, gli insulti. Fin qui nulla di nuovo. Stupisce, però, che questa ignobile attività degli estremisti continui fra l’indifferenza di una parte del mondo politico milanese. De Corato, che pure ricopre da anni la carica di vicesindaco, ha avuto la solidarietà della sua coalizione, ma dall’opposizione non si è levato un fiato. Se De Corato fosse stato un esponente dell’altra parte, il suo sarebbe diventato un caso rilevante, con ampio ricorso all’indignazione di rito. In nome della democrazia, della non violenza, del rispetto delle persone.
Ma si sa che spesso la sinistra dispone di sdegno e condanne che procedono in una sola direzione, anche quando non sarebbe il caso.

Pazienza. Va rilevato, a ogni modo, che il silenzio che circonda questa vicenda è un aiuto oggettivo ai violenti e agli estremisti. I quali, rimirando, le loro creazioni grafico-criminali, possono a ragione dirsi: «Si può fare».

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