Quel socialista ligure che contava anche a Roma

di Ferruccio Repetti

Aveva saputo dell’invito rivolto dal presidente dell’assemblea legislativa regionale agli ex consiglieri perché destinassero una somma a favore degli alluvionati. E allora lui, Delio Meoli, scomparso due giorni fa a 84 anni dopo una breve malattia, non ci ha pensato un attimo a mettere mano al portafoglio. «Un po’ come quella volta in cui pagò di tasca propria il viaggio aereo dalla Sardegna a Genova per un bimbo da ricoverare al Gaslini» ricorda Fabrizio Moro, socialista come Meoli nel Psi anni Ottanta e primi Novanta, ma soprattutto suo amico sincero. «Ma è successo così, lui si è comportato così anche altre volte...» aggiunge ancora Moro, che di Meoli fu uno dei «discepoli laici» più affezionati. Erano i giorni in cui, dopo il tramonto dei potenti fratelli Macchiavelli, si affermava fra i socialisti genovesi una leadership in grado di contare, e non solo a livello locale. Già a questo livello, comunque, Meoli ha bruciato le tappe, proprio come bruciava i «toscani» cui era da sempre fedelissimo e che gli avevano meritato il titolo di «sigaro tonante».
Ma l’allora ispiratore della prima giunta di sinistra, a guida socialista, di Palazzo Tursi (con Fulvio Cerofolini, nel 1975) era riuscito anche nell’intento di affermarsi a livello nazionale, facendo acquisire - lui, toscano di Montefoscoli di Palaia, ma genovesissimo di adozione - peso significativo alla componente ligure del partito. Fu due volte senatore e altrettante sottosegretario, alla Partecipazioni statali e alla Difesa. Ma fu soprattutto un decisionista, cui bastava poco, a confronto dei tempi biblici della politica, per fare una scelta, decidere una candidatura, varare un progetto. Una dote, il decisionismo, sempre a rischio di giudizi impietosi. Ne fu vittima in qualche modo anche Meoli che, dopo l’epoca dell’asse con il leader Dc Giovanni Bonelli, fu investito dal ciclone Mani Pulite. Anno 1993, arresto, 63 giorni di carcere con l’accusa d’aver incassato tangenti da alcuni imprenditori per «gestire» appalti delle Colombiane. Lui, duro come sempre, col sigaro fumante serrato fra le labbra, non aveva cercato scuse o scorciatoie: aveva ammesso d’aver ricevuto i soldi, e d’averli girati al partito. Poi, il declino inevitabile, il ritiro dalla scena politica, senza interviste, dichiarazioni, polemiche. Da lì in avanti, le sole apparizioni «ufficiali» erano in occasione delle funzioni celebrate da Gianni Baget Bozzo in suffragio di Bettino Craxi, nella chiesa del Sacro Cuore e San Giacomo di Carignano.

Non mancava mai, in prima fila, accanto ai compagni socialisti di ieri e di sempre, ma lontano dai microfoni, dai taccuini dei giornalisti e dalle telecamere. Quello che doveva dire o dimostrare - pareva questo il messaggio lanciato dal suo sguardo - l’aveva detto e dimostrato. Il resto era cronaca e Storia. Una Storia, ancora oggi, tanto più oggi, tutta da riscrivere.

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