Quel sogno «profetico» di Eduardo

In scena ritroviamo Luca De Filippo che ha già lavorato col regista in «Napoli milionaria»

Pier Francesco Borgia

Il successo ottenuto con l’eduardiano Napoli milionaria (tre anni di repliche) offre ottimi pronostici per la resa del nuovo lavoro nato dal sodalizio tra Luca De Filippo e Francesco Rosi. Venerdì, infatti, sul palcoscenico del Teatro Argentina debutta Le voci di dentro, scritto da Eduardo De Filippo nel 1948. E si colloca quindi sulla scia di una profonda rilettura della drammaturgia eduardiana da parte di Rosi tornato, dopo tanto cinema, al «primo amore».
La domanda che si è posto Rosi affrontando il testo di De Filippo nasce da un’insolita definizione che della commedia fa lo stesso autore. «Eduardo l’ha definita “una tarantella in tre atti” - spiega il regista del celebre film Le mani sulla città - e mi viene da pensare che lo ha fatto perché, come la tarantella, questa storia si sviluppa in maniera disordinata seguendo un ritmo ossessivo».
Commedia attribuita al filone del «fantastico» eduardiano, incentrata sull’ambiguo rapporto tra realtà e sogno, tra realismo e surrealismo, Le voci di dentro si sviluppa come un affresco sul sospetto, sul conflitto, sulla perdita di fiducia e di stima all’interno della famiglia, paradigmatici di un più ampio disfacimento morale che secondo il drammaturgo napoletano coinvolgeva, nell’immediato dopoguerra, l’intero Paese.
Alberto Saporito (interpretato da Luca De Filippo) ha un incubo, forse una visione, che definirà un «sogno»: il delitto commesso da una famiglia di tranquilli borghesi (i Cimmaruta, suoi vicini di casa) che non esita a denunciare. Quando la polizia irrompe nella casa degli accusati (che lo scenografo Enrico Job in questo nuovo allestimento concepisce come una benestante cucina con finestrone che affaccia su una realistica piazzetta Riario Sforza, nel cuore di Napoli, in bicromia bianco e nero) e li porta in questura, scopre che mancano sia le prove sia lo stesso cadavere. Il sogno però, produce tutta una serie di conseguenze reali: gli accusati, invece di proclamare ad alta voce tutti insieme la loro estraneità al delitto, sospettano che sia stato commesso da uno di loro e si accusano l’un l’altro, arrivando a progettare un delitto vero per coprirne uno solo immaginato. Situazione paradossale, che si risolve solo nel finale quando, deus ex machina, spunta Aniello Amitrano, il presunto assassinato, vivo e vegeto. Non resta allora che l’amara morale: «un assassinio lo avete messo nelle cose normali di tutti i giorni... il delitto lo avete messo nelle cose di famiglia!».
«Attraverso il cinema ho rappresentato la realtà italiana in cui mi trovavo a vivere, anticipando anche delle tematiche oggi drammaticamente presenti - commenta Rosi -. Ho affrontato la questione meridionale, l’olocausto e altre tragicità della nostra epoca; tematiche che hanno sempre interessato anche Eduardo che ha parlato dell’importanza dei valori morali e della solidarietà umana».
«Le voci di dentro è molto diversa dalle commedie più note di Eduardo - aggiunge il regista -. basate sui sentimenti; perché è una commedia di parole, dove ci sono i sentimenti, ma dove appunto sono i valori morali a dominare per così dire la scena».


«Oggi - conclude Rosi - per noi che facciamo i conti con una cronaca quotidiana sempre più tormentata da violenze insopportabili, da crimini commessi in nome degli interessi più sordidi, il valore di profezia della commedia di Eduardo è davvero sconcertante».
Nel cast, oltre a De Filippo, anche Carolina Rosi, Antonella Morea, Marco Manchisi, e Gigi Savoia. Repliche fino al 19 novembre.

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