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«Quel sub l’abbiamo travolto noi» Invece non è vero

«Stavamo incrociando con la nostra barca al largo di Recco quando abbiamo sentito un tonfo sordo sotto alla chiglia. Non abbiamo pensato di tornare indietro per vedere che cosa avessimo urtato. Temiamo di essere stati noi ad avere colpito al capo il povero Stefano Ferri, causandone la morte». Con questa confessione due diportisti di Santa Margherita, in mare mercoledì pomeriggio quando è avvenuto il decesso di Stefano Ferri, si sono presentati ieri mattina alla capitaneria di porto di Camogli. Una sorta di confessione che ha preso le mosse dall’appello fatto dalla stessa capitaneria a tutti coloro che potenzialmente potessero sapere qualcosa dell’incidente che ha determinato la morte del trentottenne genovese. Gli immediati accertamenti effettuati sull’imbarcazione e su alcuni dati relativi all’uscita in barca hanno tuttavia escluso che i due sammargheritesi, fossero i «pirati» e quindi con un bel sospiro di sollievo i due se ne sono tornati a casa. Le indagini proseguono mentre la capitaneria rinnova l’appello ai cittadini: chi sa qualcosa si faccia avanti. Intanto il medico legale Marco Salvi ha concluso l’autopsia sul cadavere di Stefano Ferri. L’esame autoptico ha confermato che il decesso è stato causato da un’elica piccola di un motore fuoribordo che ha tagliato in due il cranio della vittima. Nei prossimi giorni verranno effettuati altri esami, alla ricerca di eventuali frammenti e particelle di metallo o altro materiale che possano essere utili per risalire al tipo di imbarcazione. Per il momento, non risultano esserci iscrizioni nel registro degli indagati per la vicenda, mentre continuano le ricerche e i controlli a tappeto della Capitanerie di porto di Camogli. Gli investigatori, infatti, sperano che possa presentarsi qualcuno a fornire elementi utili per le indagini. In base ad alcune segnalazioni ieri sono state sequestrate altre due imbarcazioni a Santa Margherita e Rapallo. Anche le eliche di queste barche saranno controllate attentamente. Ferri era uscito in immersione tre giorni fa ma non aveva fatto rientro in casa. Resta ancora senza soluzione il giallo del pallone di segnalazione, scomparso. Non è a casa del sub, non è stato trovato sulla sua auto, né tra i suoi effetti personali. Non è stato trovata nemmeno - come precisato dal Giornale il primo giorno - lo spezzone della cima che teneva la corda.

Inoltre un testimone avrebbe visto un sub immergersi a quell’ora e vicino a terra senza boa mentre una barca era troppo vicina alla costa, in acque non consentite alla navigazione a motore. Gli uomini della Capitaneria stanno lavorando incessantemente. E i parenti dell’uomo non si arrendono.

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