RomaNon sparate sul pianista. Non maramaldeggiate. Non deprimete lautostima vacillante di un uomo nel momento più difficile della sua vita precaria. Abbiate rispetto per loscuro lavoro di un mediano buttato nel bel mezzo dellarea di rigore, e rimproverato perché ha il «piede a banana».
Salviamo, insomma, il soldato-segretario Pier Luigi Bersani (nella foto). Quando uno passa anni a girare per sezioni del Pd, feroci comitati di fabbrica, covi di vipere come quelle del Nazareno, il minimo che si possa dargli è solidarietà e aiuto. Specie se sta tra un padrone che gli detta ogni passo (DAlema, non hai sbagliato abbastanza?) e un anti-padrone che gli sfila la tela prima della vendita (Veltroni, ma non dovevi essere a Timbuctu?). Uno che davanti a 75 firme di sfasciacarrozze dice «a me va bene tutto», non è infatti uno di «bocca buona», ma un essere umano arrivato allo stremo. Alle soglie della santità.
E il partito, che dovrebbe pendere dalle sue labbra? Come possono permettersi, i funzionarietti da lui foraggiati e (ben) pasciuti, di spedire per e-mail a 140mila militanti un questionario minatorio? Trenta domande formulate dal «dipartimento comunicazione e organizzazione» del Pd - già in circolazione - che hanno il gusto amaro del metadone a uno che vorrebbe disintossicarsi, e agogna solo un pizzico di fiducia in più. Domande deprimenti, prive di tatto, come la prima: «Ha visto, almeno in parte, lintervento di Bersani alla festa del Pd di Torino?». Come sarebbe a dire, almeno in parte? Togliatti li avrebbe spediti in Siberia: i discorsi del segretario si ascoltano con fede, e per intero. Risposte consigliate: «Sì, in tv; sì, sui giornali; sì, alla festa; no». Cadono le braccia.
Peggio ancora, quando i postulanti entrano nel vivo degli argomenti. «Lintervento di Bersani è stato: coinvolgente, convincente, efficace, appassionato». O ancora: «Direbbe che il discorso di Bersani è stato: equilibrato, troppo incentrato sulla critica al governo, poco propositivo, preferisco non rispondere». Preferisco non rispondere? Equilibrato? Sarebbe come dire che gli stessi militanti «carta oro» del Pd sono autorizzati a criticare il loro leader maximo perché non abbastanza «squilibrato» o perché non ha cantato a sufficienza le lodi del governo cui fa opposizione. E che orrore sarà, per Bersani, leggere la sfilza di quanti risponderanno: preferisco non rispondere?
Più avanti, viene messa in discussione persino la capacità di «essere un vero leader». Dunque, per i funzionarietti, lui non è quello «vero». È un «finto», un clone, uno che passava per caso, e per caso gli è capitata la disgrazia. Ma che razza di partito è diventato sto Pd? Va bene porsi qualche dubbio, però queste domande segano la poltrona del segretario, sgretolano lintero ventaglio di proposte elaborate dopo tanto penare. Dal «Nuovo Ulivo per sconfiggere Berlusconi» al «governo di transizione per cambiare la legge elettorale» (del tutto daccordo, daccordo, in disaccordo, del tutto in disaccordo, non saprei). Laria di sufficienza e lingratitudine finiscono per fare di tutta lerba un fascio (pardon!) e fanno chiedere allindistinto popolo web se «in generale, le proposte di Bersani, sono originali, valide, concrete, realizzabili, entusiasmanti, innovative, rassicuranti». Come potrà mai sentirsi, il segretario, leggendo che per la maggioranza non sono «per niente entusiasmanti, poco originali, punto innovative»? Uno straccio, si sentirà.
Non viene risparmiata neppure lidea di auto-rottamazione lanciata da quel frescone del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che quando Bersani studiava da ministro stava ancora a studiare come tener dritte le asticelle. Ecco: «non so, non saprei, preferisco non rispondere», sono queste le frasi che albergano nel cuore grigio del Pd, allinsaputa del segretario.
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