Quel voto «tradisce» il mandato

Nicolò Zanon

Al Senato, l’Unione avrà una maggioranza risicatissima, se l’avrà. I senatori di diritto (cioè gli ex presidenti della Repubblica) e quelli nominati a vita rischiano perciò di avere un peso notevolissimo, se non decisivo. Il Presidente Cossiga, in un primo momento, aveva dichiarato che non avrebbe fatto pesare politicamente il suo voto (anche se ora sembra averci ripensato, e in una lettera a Prodi scrive che voterà la fiducia al suo governo). Lo stesso Cossiga sostenne, in passato, che per gli ex presidenti della Repubblica non vi sarebbe nemmeno l’obbligo di iscrizione a un determinato gruppo parlamentare. Anche se il suo sostenitore le dovesse abbandonare, sono comunque tesi intelligenti, che vogliono valorizzare la posizione super partes di coloro che hanno ricoperto la carica presidenziale ed hanno perciò simboleggiato l’unità della Nazione al più alto livello costituzionale.
E, Cossiga a parte, gli altri che faranno? Se decideranno di esserci e di votare, e perciò di contare, eserciteranno certo un diritto che appartiene al loro status di parlamentari. C’è tuttavia da chiedersi se questa scelta - nelle condizioni particolari che queste elezioni ci lasciano in eredità - sia opportuna, oltre che legittima. I senatori di diritto e a vita non sono eletti dal popolo, come si sa. A parte gli ex presidenti della Repubblica, la Costituzione dice che i senatori a vita sono nominati tra coloro che hanno illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Non si parla, si osservi, di meriti «politici». E in effetti, in passato, la nomina a senatori a vita di esponenti politici ha talvolta generato polemiche.
Il fatto è che la presenza in Parlamento di rappresentanti non elettivi si giustifica con l’opportunità di fare del Senato una camera autorevole, nella quale i senatori a vita costituiscano un elemento di unità, che si pone accanto - ma distintamente - alla rappresentanza del pluralismo politico eletta dal popolo. Se gli ex presidenti della Repubblica hanno (o dovrebbero avere...) una qualità rappresentativa super partes, quelli nominati a vita sono (o dovrebbero essere) personalità di prestigio in cui tutti dovrebbero potersi riconoscere.
Insomma, i senatori di diritto e a vita sono rappresentanti dell’unità e non del pluralismo o della divisione politica.
È opportuno, allora, che l’elezione di una carica istituzionale, oppure il destino di un provvedimento, di una legge, persino la fiducia al governo e il futuro di una maggioranza, dipendano dal loro voto decisivo? Sembra proprio di no.

Se invece questo accadrà, sarà un’altra eredità assurda di queste strane elezioni.

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