Quell’abbraccio mortale tra imprenditori e politica

Dalle aree Falck alla Serravalle, da Brebemi alle cave, non c’è cantiere lombardo che sia scampato alla rete tesa dai magistrati

La solita equazione. Opere pubbliche, uguale tangenti. Le cronache giudiziarie delle ultime settimane consegnano lo spaccato desolante degli intrecci fra imprenditori e politica, di arbitri che diventano giocatori, di controllori che chiudono un occhio (se non tutti e due), di amici degli amici a cui fare un favore. Ovviamente, in cambio di soldi. E cosa paga di più? Asfalto e mattoni. Sporcano, ma sono oro.
L’ultimo caso è quello della Milano-Serravalle, la società autostradale acquisita dalla Provincia nel 2005, versando 238 milioni di euro al costruttore Marcellino Gavio. Una cifra enorme. Pagata con i soldi dei contribuenti. E soprattutto sospetta. Perché, secondo la procura di Monza, dietro a quell’affare ci sarebbe una maxi-tangente versata dall’imprenditore Bruno Binasco, del gruppo Gavio, a Piero di Caterina, auto-indicatosi come l’esattore per conto di Filippo Penati, all’epoca presidente in via Vivaio. Ora si scopre che tra i protagonisti di quella stagione c’è anche Matteo Cabassi, erede di un imponente patrimonio immobiliare a Milano (e non solo), che avrebbe rifilato alla Serravalle (pronta però a pagare senza troppe resistenze) un palazzo invenduto della sua «Milanofiori», giusto all’imbocco dell’autostrada. E poi compare il nome di Massimo Di Marco, già amministratore di Serravalle spa, ora presidente della Tangenziale Esterna Milano, la nuova arteria che dovrebbe sorgere a est della metropoli. Non basta? Tra gli indagati c’è anche Carlo Tavernari, socio della Girpa, società di progettazione con sede a Verona, che avrebbe versato all’architetto Renato Sarno (uomo di Penati) 200mila euro per un progetto esecutivo della Pedemontana, 157 chilometri di asfalto (tra autostrada, tangenziali e strade secondarie) lungo la direttrice Varese-Bergamo.
Ma, come detto, siamo solo alle ultime cronache. Perché scorrendo l’album della mala-politica, c’è dell’altro. Solo pochi giorni fa, a finire in carcere è stato Franco Nicoli Cristiani, ormai ex vicepresidente del consiglio regionale e assessore all’Ambiente dal ’96 al 2001. L’accusa? Corruzione, ça va sanse dire. Secondo i pm di Brescia, avrebbe intascato 100mila euro - ma a detta dell’imprenditore Pierluca Locatelli, che i soldi dice di averli versati, la cifra è da raddoppiare - perché il Pirellone desse l’ok a trasformare una cava in discarica. E sempre nella stessa inchiesta, si è scoperto che due cantieri della BreBeMi - l’autostrada che collegherà Brescia, Bergamo e Milano, parte lesa nel procedimento - erano stati utilizzati come lo zerbino sotto cui nascondere la polvere. Peccato che la polvere, in questo caso, fossero i rifiuti tossici: cromo esavalente e scorie di acciaieria, usati como sottofondo stradale.
Quando le autostrade non bastano, poi, si passa ai mattoni. Specialmente, se in ballo c’è il più grande progetto europeo per la riqualificazione di un’area industriale. È il caso di Sesto San Giovanni, dove i terreni dell’ex Falck hanno attirato non solo i grandi architetti, ma anche gli interessi opachi della politica. Su quei terreni sta indagando la procura di Monza, e a finire nel mirino dei magistrati sono stati - fra gli altri - Penati e il sindaco Giorgio Oldrini, oltre all’ex assessore all’edilizia privata Pasqualino Di Leva. Sempre il solito schema: tangenti per metri cubi di cemento.
Se questo è il quadro, un conto alla rovescia (già iniziato) deve far riflettere. Perché mancano ormai tre anni e mezzo all’apertura di Expo.

Un’area di un milione di metri quadri, metà dei quali edificabili, senza contare strade e metropolitane che la collegheranno alla città. È la più grande torta mai messa sul tavolo di Milano. Saranno in molti a volersene accaparrare una fetta.

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