Un corso accelerato di critica letteraria dovrebbe spiegare che i romanzi sono tavolini a tre gambe. Una è costituita dalle azioni dei personaggi, laltra dalla qualità della scrittura, la terza dal rapporto con lepoca nella quale sono ambientati. Reggersi su una gamba sola, come la gru di Boccaccio, non si può, e anche i romanzi puramente bipedi (romanzi-struzzo, romanzi-gallina) non resistono a lungo al vento della storia.
Certo, i tre supporti possono essere più o meno robusti: oggi il pubblico (e la critica: memorabile l«io amo i personaggi... » con cui Giorgio Ficara apriva la sua ultima raccolta di interventi) vede solo le gesta degli eroi di carta, così come negli anni 30 del secolo scorso privilegiava la bella prosa e nel secondo dopoguerra gli elementi documentaristici. Ma anche i romanzi che contano su uno solo dei tre aspetti non riescono a rinunciare agli altri due, altrimenti non giungerebbero mai nelle librerie.
Ora, sostenere che degli innumerevoli romanzi su Napoli si ricordino soltanto quelli che contengono una forte dose di denuncia equivale a semplificare troppo le cose. In realtà si ricordano le opere in cui il linguaggio si fa arazzo, dando vita a un gioco con la società perverso, tendenzialmente mistificante e alla fine «squilibrato». Per esempio si ricorda laccorato, ma retorico melodramma di Matilde Serao, la miseria morale innegabile e però «sbattuta in faccia» dei popolani di Eduardo De Filippo, il cristallino e ambiguo grottesco di Curzio Malaparte. Ecco allora che in the long run Saviano - Saviano il «giornalista», Saviano che per i detrattori si limiterebbe a travasare nella pagina limmenso tenore epico della camorra - potrebbe a sorpresa «durare» più a lungo di Valeria Parrella che scrive molto meglio di lui, o di Antonio Pascale che è un lettore del territorio infinitamente più fedele.
A fare la differenza è il paradossale pudore di Napoli, un pudore molto seducente e snob: quello di una donna che, pur di non affidare il suo buon nome a una «descrizione» bilanciata e mediamente sordida, preferisce nascondersi dietro una verità tanto iperbolica da sembrare menzogna.
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