Quell’uomo nella gabbia di vetro

Da mesi ormai, in pieno centro, c’è un signore sulla settantina chiuso in una gabbia di vetro che par­­la, mangia, dorme, ama, vive e fa i suoi bisogni in pubblico...

Quell’uomo nella gabbia di vetro

Da mesi ormai, in pieno centro, c’è un signore sulla settantina chiuso in una gabbia di vetro che par­­la, mangia, dorme, ama, vive e fa i suoi bisogni in pubblico. Quattro fari abbaglianti sono puntati da tutte le di­rezioni sulla sua gabbia di vetro. Non può fare altrimenti, è esposto da tutti i lati ed ogni suo respiro, singhiozzo, rutto, ogni suo minimo sospiro o im­precazione, uno sfogo, una scioc­chezza, viene amplificato all'esterno e trasmesso in piazza. E chi non rie­sce a veder bene cosa fa, con chi par­la, al telefono o no, ci sono maxi­schermi e altoparlanti collocati per la città a mostrarlo. Una vita in vivavo­ce. E la turba chiede di punirlo per atti osceni in luogo pubblico. Non so se lui sia ancora lucido in quelle condi­zioni, non so se a volte perfino ci pro­va gusto, e a volte dice esattamente quel che loro vogliono sentire; ma a vederlo bene sembra sconvolto, co­me un animale braccato. Se non aves­si troppa venerazione per i poeti da non confonderli con gli altri, ricorda Ezra Pound nella gabbia di Coltano, prigioniero politico, costretto a fare tutto alla luce dei fari e delle guardie. Un poeta ridotto ad una scimmia. Lui si chiuse in un impenetrabile silen­zio, distillato dalla sua poesia. Quel si­gnore nella gabbia di vetro invece no, digrigna i denti, finge sorrisi, parla, straparla.

Ma lui non è un poeta, che c’entra, avrà le sue colpe, non dico. Però trovo bestiale il modo in cui vie­ne esposto e braccato, in quella gab­bia con i fari sparati addosso, giorno e notte. Costretto a defecare in mondo­visione. Forse avete capito chi è.

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