Quella letteratura dei vinti finita in soffitta per ideologia

di Mario Bertelloni

«L’enorme tragedia del sogno sulle spalle curve del / contadino / Manes! Manes fu conciato e impagliato / Così Ben e la Clara a Milano / per i calcagni a Milano»: ecco come si inizia la letteratura dei vinti. Siamo a Coltano, provincia di Pisa. Ezra Pound ha appena ricevuto il permesso di usare carta e penna e, impetuoso come uno tsunami, scrive di getto i «Canti Pisani» che saranno pubblicati a Norfolk nel 1948. In questi primi versi, il grande poeta sintetizza la fine brutale del proprio sogno, la rovina dell’Italia e dell’Europa, lo «spettacolo» di piazzale Loreto. Chi ha visto i filmati dei corpi dondolanti sopra la folla in tripudio non può istintivamente fare a meno di pensare alla «Ballata degli impiccati» di François Villon, poeta che Pound aveva studiato a fondo. Come è noto, vive a Zoagli, ligure quindi di adozione. È fatto prigioniero da due partigiani, Nanni Ceglie di Chiavari e tale Pasqualin, che lo consegnano al comando alleato. Gli americani lo trasferiscono a Coltano, lo chiudono in una gabbia a cielo aperto. Il poeta non sa ancora cosa sta succedendo al suo ultimo libro «Chung yung, l’asse che non vacilla», appena uscito a Venezia dalle Edizioni Popolari: quasi tutte le copie sono date alle fiamme perché la gente crede che l’asse nel titolo sia l’asse Roma-Berlino.
La nostra letteratura dei vinti è un mondo ancora tutto da scoprire, popolato da innominabili scaraventati subito in soffitta per motivi ideologici una volta fatto capolino in libreria. Hanno scritto pagine in cui emergono, oltre alle qualità letterarie, amor proprio e amor di Patria, obiettività e serenità senza, tanto per dirne una, definire quelli della Resistenza «figli di stronza». Con questi autori colpevolmente dimenticati, il grande mosaico, piaccia o no a sinistra, resta incompleto.
Ecco allora alcuni titoli di opere narrative sul periodo 1943-1945 che invitano in ogni caso a riflettere. Dopo un ligure di adozione a Levante, è la volta di un ligure autentico, di Ponente, Fra Ginepro. Cappellano militare in Africa Orientale, fronte occidentale, fronte greco, campi di prigionia. Ferito, rimpatriato dall’India nella primavera del 1943 in seguito ad uno scambio di prigionieri sotto l’egida della Croce Rossa Internazionale, si trasforma in cappellano militare itinerante.
Con l’appoggio ufficiale, gira l’Italia in lungo e in largo, incontra famigliari di prigionieri dando loro tutte le informazioni possibili e parole di conforto e speranza. È un viaggio senza sosta anche dopo l’8 settembre 1943, quando aderisce alla Rsi. Al 25 aprile 1945 è arrestato e condotto a Marassi. Diventa il cappellano dei percossi e dei morituri. È messo in libertà. Riprende gli incontri con migliaia di famiglie, questa volta senza appoggio ufficiale, per una missione ancora più pietosa e cristiana della precedente: la ricerca del corpi dei Caduti affinché possano avere una tomba e una benedizione in punto di morte spesso negata. La bibliografia di Fra Ginepro è ricca. Nei primi anni Cinquanta «Guerra e prigionia» (editrice e anno non indicati), e tre opere pubblicate dalla casa senese La Poligrafica, «Famiglie che piangono», «La Via Crucis dei criminali» e «Fanciulli martiri» sono firmati Pio Cappuccino. In ogni pagina, religiosità, umanità e dolore avvolgono elenchi ed elenchi di Caduti. La fatica di Fra Ginepro ne salva la memoria.
Le esperienze personali si intrecciano sovente con gli avvenimenti nei quali l’autore è protagonista o testimone. Fa eccezione il romanzo «Benito I imperatore» di Marco Ramperti, pubblicato a Roma dall’Editrice Sciré nel 1950, un’accusa, fatti alla mano, al malcostume italiano di cambiare bandiera. La letteratura dei vinti trova spazio solo in piccole case editrici la cui distribuzione spesso non è su scala nazionale con conseguente limite alla diffusione. Con il passare del tempo, se fortunati, sarà possibile stanarne qualche esemplare solo sulle bancarelle. Sono infatti rare le grosse case editrici che nell’immediato dopoguerra accettano di pubblicare libri scritti dagli sconfitti tranne la Longanesi che stampa «Contro la vendetta» e «Mussolini, Graziani e l’antifascismo» di Carlo Silvestri e che farà uscire nel 1963 «La caduta di Varsavia» di Mario Gandini.
Dobbiamo aspettare il 1986 perché la grande editoria si interessi ai vinti. Mondadori pubblica «A cercar la bella morte» di Carlo Mazzantini. Poi manda in libreria nel 1996 «La memoria bruciata» di Mario Castellacci, autore della più celebre e struggente canzone della Rsi, «Le donne non ci vogliono più bene».
Infine, un’opera teatrale: «Marzo ’44. Processo all’attentato di via Rasella» di Mario Tedeschi, Terziaria Milano, 1996, prefazione di Attilio Agnoletto. Tedeschi, una vita per il giornalismo ( al «Corriere Mercantile», al «Tempo» e alla «Notte») è l’indimenticabile direttore del «Borghese». «Marzo ’44», tratta una pagina cupa nella storia d’Italia usando quell’affascinante macchina del tempo che è il teatro-inchiesta.

Certo, meriterebbe di essere portata in scena per stabilire, anche con l’aiuto di un vinto, se la bilancia pende a favore di Salvo D’Acquisto o di Rosario Bentivegna. Ma chi se la prende la briga di far scoppiare una terza guerra mondiale?

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