Quella spina nel fianco di Marchionne

di La nuova tirata d’orecchie di Massimo Mucchetti a Sergio Marchionne (la lettera aperta all’amministratore delegato della Fiat pubblicata ieri dal Corriere della Sera) ha scatenato, come era prevedibile, una sorta di caccia all’ipotetico mandante. Il Lingotto, infatti, è il secondo azionista del quotidiano di via Solferino, e come accaduto nei casi precedenti, le osservazioni critiche di Mucchetti sulla strategia industriale torinese in un momento che vede crollare il valore delle azioni Fiat in Borsa, e con le principali economie mondiali alle prese con lo spettro della recessione, ha fatto alzare le antenne a non pochi. Ci sono le grandi banche dietro la bacchettata? Oppure la leader della Cgil, Susanna Camusso? E se ci fosse lo zampino di Cesare Romiti? Oppure qualche mal di pancia all’interno della famiglia Agnelli?
E perché, dopo aver dissertato sulla strategia industriale del Lingotto e sulla politica contro-corrente (rispetto agli altri produttori di auto) a proposito dei muovi modelli, quella chiosa un po’ fuori tema (visto il resto della lettera) sulla necessità di spostare la residenza fiscale di Marchionne dalla Svizzera a Torino?
La risposta: Mucchetti è un battitore libero che gode della piena fiducia del direttore Ferruccio de Bortoli e la nuova critica a Marchionne non sarebbe altro che la dimostrazione che il Corriere non subisce pressioni da Torino. Ciò non toglie che l’editorialista del quotidiano milanese rappresenti una spina nel fianco della Fiat e degli Agnelli, come dimostra la risposta alla lettera da parte di Lupo Rattazzi, figlio di Suni Agnelli, membro del cda di Exor e socio dell’accomandita.
Dagli Stati Uniti, Rattazzi sostiene «di non capire per quale ragione Marchionne ha bisogno di Mucchetti per accorgersi di essere preoccupato della situazione dei mercati e come pungolo a occuparsi di più dei problemi del gruppo». «E che cosa c’entra - aggiunge Rattazzi al Giornale - la residenza fiscale dell’amministratore delegato a Zug con i problemi sollevati nella lettera? Da tempo, Mucchetti insiste nel dire che la famiglia, attraverso Exor, deve mettere nella Fiat nuove risorse e che si proceda a un aumento di capitale del Lingotto. È un suo pallino; la necessità e l’opportunità le vede solo lui. Marchionne gode della massima stima e della massima fiducia di tutta la famiglia Agnelli».
Tra l’editorialista del Corriere e il capo del Lingotto persistono differenti punti di vista: nel primo caso prevarrebbe la logica dello Stato nel ruolo di «paracadute», al bisogno, dell’impresa; in poche parole, che non è possibile fare a meno dell’ombrello istituzionale, come è accaduto nei momenti di crisi negli Stati Uniti, in Germania e in Francia, nel mandare avanti un costruttore di automobili; nel secondo una logica puramente di mercato. Un braccio di ferro, quello tra Mucchetti e Marchionne, che comunque non finisce qui.
L’amministratore delegato della Fiat, intanto, ha approfittato della tappa fuori programma al Meeting di Rimini per fare il punto della situazione e chiarire alcune questioni (i rapporti con il socio indiano Tata) emerse nei giorni in qui era occupato ad Auburn Hills, nel Michigan, in casa della Chrysler.
«Andremo avanti con i programmi annunciati per portarli a conclusione», ha rassicurato, replicando così indirettamente alla lettera aperta indirizzatagli da Mucchetti sul tema «Fabbrica Italia».

«Ho letto l’articolo di Gramellini su La Stampa - ha commentato - e l’ho trovato molto più incoraggiante per quanto riguarda il futuro del Paese».
Quindi la precisazione sui rapporti con Tata: «La joint venture procede, ma cambieranno i termini dell’alleanza».

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