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Quella «t» che fa la differenza tra «inviato» e «invitato»

Caro Lussana,
da 50 anni, ahimè, faccio questo (divertente) mestiere e ho seguito con interesse - ma anche con ilarità - il dibattito sugli inviti in Cina fatti e (a volte) rifiutati.
Premetto che sono un cane sciolto, non ho mai avuto tessere di partito, sono per l'abolizione dell'Ordine dei giornalisti e sono andato a votare rare volte, quando sono stato trascinato alle urne da colleghi che mi chiedevano il voto per andare a fare una gita gratis (leggi congressi).
Ti assicuro che il problema degli inviti è vecchio quanto il giornalismo. Ricordo che alla fine degli anni '60, il giovane Oliviero Beha (che già allora era una voce fuori dal coro) inviava al suo giornale di allora, «Tuttosport», dalla Tunisia dove si svolgevano i Giochi del Mediterraneo,servizi che cominciavano «Dal nostro invitato speciale». Naturalmente in redazione pensavano a un errore di battuta e correggevano in «Dal nostro inviato speciale». Beha voleva sottolineare che i giornalisti erano stati invitati dal Coni, ma fu una battaglia contro i mulini a vento.
Ora, a proposito degli inviti in Cina, leggo di processo alle intenzioni, sostenendo che in ogni caso l'inviato (anche se invitato) conserva la sua autonomia di giudizio. E questo «a priori» può essere esatto. Ma si dimenticano due cose importanti:
1 - La propria convenienza - Se un giornalista accetta l'invito è perché gli fa piacere andare a scoprire la Cina e magari domani la Papuasia. Ma se invece dei peana di rito,abbonda con le critiche, la prossima volta lo sponsor dice al direttore: mandami tutti,fuorchè quel rompiscatole di... E allora: chi te lo fa fare?
2 - Il bon ton che riguarda gli invitati - Se tu mi inviti a pranzo a casa tua e mangio male (faccio per dire, sono convinto che sei anche un gourmet) posso fare un commento con mia moglie. Ma non posso dirtelo in faccia e tanto meno andarlo a dire in giro (o addirittura scriverlo sul giornale). Non c'è solo la tanto decantata deontologia professionale, c'è anche la buona educazione.

Se io vado in Cina a spese della Regione o del Carlo Felice, devo tener presenti i doveri legati all'ospitalità. Lo dicevano anche gli antichi: non si sputa nel piatto dove si è mangiato.
E potrei continuare all'infinito, con mille aneddoti...

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