Quelle affinità elettive fra ds e procura milanese

Quanto più rifletto sulle modalità d’approdo dell’affare Unipol-Ds in Parlamento, tanto più singolare e inquietante mi appare la storia dei rapporti tra il maggiore partito della sinistra e la giustizia di rito, diciamo così, ambrosiano.
All’epoca di Mani pulite si conobbe un solo caso in cui negli uffici della Procura di Milano fu applicata la legge per cercare prove non solo a carico, ma anche a discarico dell’indagato. Ciò accadde ad opera dell’allora procuratore aggiunto D’Ambrosio, oggi senatore dell’Ulivo in quota Ds, che trovò le carte utili a bloccare i tentativi della sostituta procuratrice Tiziana Parenti di coinvolgere i dirigenti del partito nelle indagini sui soldi e sui conti di Primo Greganti, il mitico «compagno G» delle feste dell’Unità.
Nella scorsa primavera è nuovamente toccato alla Procura di Milano, nei piani ancora più alti di quelli frequentati a suo tempo da D’Ambrosio, il compito di rilasciare una specie di liberatoria al vice ministro ds dell’economia Visco annunciando di non avere ravvisato elementi «prepotentemente» a suo carico nelle soperchierie denunciate dal generale Speciale, allora comandante generale della Guardia di finanza. Che, rimosso nel frattempo con procedure e motivazioni impugnate in sede giudiziaria, ha trovato maggiore ascolto alla Procura di Roma, dove Visco ha dovuto sottoporsi a interrogatorio con l’assistenza di uno storico senatore e avvocato del suo partito.
Sempre negli uffici della Procura di Milano sono state a lungo trattenute in un clima d’incertezza, anche a costo di fughe di notizie e di documenti, le registrazioni delle telefonate fra il capo dell’Unipol e i maggiori esponenti dei Ds avvenute nelle giornate e ore cruciali della fallita scalata alla Banca nazionale del lavoro. Alla fine il giudice delle indagini preliminari Clementina Forleo ha rotto gli indugi chiedendo alle Camere la necessaria autorizzazione all’uso processuale di quelle intercettazioni. Ma, pur essendo meritoriamente tra i pochi magistrati a sostenere la separazione delle carriere, la signora ha fatto un po’ di confusione tra i ruoli di giudice e di pubblico ministero. Ha adoperato a carico dei parlamentari espressioni indebitamente anticipatrici di un’accusa, o addirittura di una sentenza.
Per quanto siano i meno titolati a farlo, avendo il loro partito abbondantemente coperto e usato contro gli avversari analoghi sconfinamenti, i dirigenti ds protestano contro la pretesa della Forleo di indicarli in una ordinanza, prima ancora che essi vengano indagati e processati, come «consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata» in ordine alla vicenda Unipol. E guadagnano la solidarietà garantistica di Berlusconi.

Sempre fortunati, questi diessini, nei rapporti con le toghe milanesi, di ogni grado e funzione, anche quando essi sembrano finiti clamorosamente sotto schiaffo.

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