«Quelle occasioni perse da Brera»

L’atmosfera che si respira all’Accademia di Brera, all’indomani della definitiva ratifica del progetto che ne sancisce il trasferimento in altri lidi, è quella di un Fort Apache al cui arrivo dei «nostri» non crede più nessuno. Ma la separazione dalla pinacoteca era davvero un evento ineluttabile? Lo abbiamo chiesto ad alcuni cervelli super partes che in questi anni hanno vissuto, da osservatori diversi, avventure e disavventure del pianeta Brera. Nessuno, forse, più del docente ex assessore Stefano Zecchi che dell’Accademia è stato presidente fino al 2006. Proprio lui fu artefice dell’unico altro progetto per una nuova sede dell’Università che avrebbe ampliato la Pinacoteca. Sembrava fatta ma poi tutto naufragò per l’opposizione dei docenti. A rileggerlo, quel progetto, oggi c’è da mordersi le mani. «Per l’accademia era molto più vantaggioso di quello attuale» commenta amaro Zecchi, che racconta: «Ero riuscito a far sottoscrivere un accordo con l’allora ministro dell’Istruzione Letizia Moratti e l’ex responsabile della Cultura Urbani per una sede in un nuovo grande edificio alla Bovisa, a due passi dal Politecnico. Non solo. L’accordo prevedeva il mantenimento del corpo centrale in via Brera per le aule di pittura e scultura e (udite udite) il famigerato Palazzo Citterio che avrebbe ospitato corsi di eccellenza. I rappresentanti degli studenti erano più che soddisfatti perchè la sede alla Bovisa era ottimamente servita e avrebbe avuto tutti i comfort di una struttura nuova di zecca, mensa compresa». Altro che vecchia caserma, insomma, ma il finale è degno di un film di Dario Argento. «In Italia la politica rovina tutto e l’allora sottosegretario Dalla Chiesa diede ascolto a un gruppo di docenti che non volevano mollare e che sostenevano che la mia fosse una battaglia di bandiera. Risultato: andò tutto a monte con tanto di causa civile tra l’Accademia e la società Andumor proprietaria dell’edificio in via Durando».
L’ex assessore Salvatore Carrubba, di cui la città ben ricorda la spinta decisiva ai più importanti progetti strutturali legati alla Cultura (Scala compresa), tiene fede al suo pragmatismo: «Le ragioni storiche che vedono unite accademia e pinacoteca sono comprensibili, ma solo sulla carta. Nella realtà bisogna optare per le soluzioni più efficaci che alla fine pagano. Ricordo, durante il mio mandato, di aver affrontato una situazione simile quando si pose il problema di trasferire la scuola d’arte del Castello per far spazio al museo. Ci furono polemiche, poi studenti e docenti ebbero dal Comune una nuova sede in via Giusti che soddisfece tutti e la scuola continua a collaborare con il Castello attraverso progetti espositivi». Carrubba, a suo tempo, fu coinvolto dal ministero anche sulla questione Brera e valutò prima l’ipotesi di un ex spazio industriale, poi quello di un edificio periferico in viale Marche. La questione si arenò. Oggi crede nel progetto della Grande Brera e minimizza sull’eutanasia del quartiere. «Verranno a mancare gli studenti ma non sottovaluterei l’afflusso di visitatori che potrebbe decuplicare. Però attenzione: l’ampliamento da solo non basta e servirà una grande comunicazione per spiegare ai milanesi che sotto casa hanno un vero museo nazionale come lo volle Napoleone. Brera negli anni ha perso visitatori, anzichè guadagnarne, e non è certo un bel segnale...»
Lo storico Flavio Caroli, ex direttore di Palazzo Reale, sceglie una posizione equidistante: «Le due istituzioni non potevano più convivere in quello stato e i tempi cambiano. Ma mi piacerebbe avere una risposta alle seguenti domande. Dall’Accademia vorrei motivazioni tecniche convincenti sull’inadeguatezza della caserma di via Mascheroni. Parlare solo di metri quadri non basta. Dal governo vorrei invece sapere perchè Palazzo Citterio e Palazzo Cusani sono state giudicate indisponibili per l’Accademia. Ho l’impressione che in questa vicenda ci siano un po’ troppe reticenze...»
Lo scrittore Luca Doninelli vede il trasferimento dell’accademia come un’occasione anche per la didattica. «Cambiare sede può aiutare a ripensare il ruolo stesso di un’accademia che, inutile nascondercelo, soffre gli stessi vizi e gli stessi dolori di tutta l’Università italiana.

E, quel che è peggio, oggi subisce il cannibalismo delle nuove facoltà di architettura e design, e anche delle scuole private. Ma per rinnovarsi e competere con le accademie europee, Brera ha bisogno di spazi adeguati dove anche gli artisti (dimenticati) del nostro territorio possano venire a fare i maestri di bottega».

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