Latmosfera anche lì dentro è pesante. Non tutti a Repubblica se la sentono di indossare il berretto frigio dei giacobini. Sono quelli che sottovoce la pensano un po come Pansa, qui ormai si naviga nella nebbia, con un cielo grigio, di piombo, che ricorda certi deliri anni 70. La stagione dellodio sta diventando lunga. Le parole creano mondi, fanno diventare vere anche le provocazioni, gli incubi, le teorie più bislacche. Qualcuno comincia a crederci. Senti gente che parla di regime, studenti universitari che in certe aule occupate paragonano Berlusconi a Mussolini, o peggio. Qualcuno davvero si sente un partigiano, un resistente, confonde lItalia con Cuba, con la Cina, con lArgentina desaparecida, con il Cile, con Cambogia, Romania e Ddr, con la Spagna di Franco o la Germania nazista. Tu li guardi e pensi che sono tutti pazzi. Il problema è che lo pensano davvero e poi vanno in piazza a protestare per la libertà di stampa. E citano il Caimano, Travaglio, Scalfari, Benni, Santoro, Bocca, Di Pietro, e quella specie di Robespierre che sta diventando Giuseppe DAvanzo. DAvanzo, appunto. Dicono che a Repubblica il suo nome non si nomina mai, quasi fosse Voldemort, il mago oscuro di Harry Potter. È il più potente dei potenti. È lui, più di Mauro, che detta la linea. Avanzare, avanzare, avanzare, sparando ad alzo zero, costruendo la sagoma del nemico, che non è più un uomo, ma un bersaglio da colpire al cuore. Sparate al cuore. È lì che si uccide. Qualcuno ha mai parlato con un brigatista? Sapete cosa dicevano con la P38 tra le mani? Noi non vedevamo luomo, ma il simbolo, la divisa. Così era più facile. Sì, era più facile premere il grilletto.
Non siamo ancora a quel punto. Ma questa guerra civile di parole diventa ogni giorno più densa, si materializza. Allora capita che uno studente di ingegneria di 22 anni, eletto alla segreteria provinciale dei Giovani Democratici di Modena, scriva su Facebook frasi come queste: «Ma santo cielo, possibile che nessuno sia in grado di ficcare una pallottola in testa a Berlusconi!». Ecco, siamo a un passo. Oltre ci sono le armi. Un vecchio professore della Luiss, Raimondo Luraghi, diceva che quando la lotta politica, lo scontro di interessi, diventa ideologia, non cè più spazio per la mediazione. Si va al muro contro muro. A quel punto tutti perdono la ragione e vince lodio, gonfiato, senza ritorno. Luraghi insegnava storia della guerra civile americana. E diceva che si parte con lo Zio Tom e si arriva a Gettysburg.
I maestri non sanno mai di essere cattivi. Parlano e basta. Scrivono e poi vanno a dormire. Bocca considera lantiberlusconismo un dovere morale. Scalfari, più pratico, invita i giornalisti a non essere neutrali. Nessuna zona grigia. Chi non attacca Berlusconi è un pavido, un collaborazionista. È quello che rimprovera a De Bortoli. La politica è morta, contro questo governo serve la spallata, londa, la piazza che carica a testa bassa, convinta di disarcionare il dittatore, il sovrano, il caimano. Tutto il resto non conta. Berlusconi è stato eletto dalla maggioranza degli italiani? E chi se ne frega.
Repubblica è diventato larchitrave dellantiberlusconismo come ideologia. È la casa madre, il pensatoio, il salotto, la fabbrica dellodio. È fumo. È veleno. È la chiamata alle armi. È un partito che non ha il tempo e la voglia, e neppure lumiltà, di mettere la faccia in Parlamento. Non raccoglie voti, ma fa adunate. La questione «Caimano» non è più una battaglia politica. Non è opposizione. Non è opinione. È una missione divina. Luomo di Arcore va cacciato perché appartiene a unaltra razza. È il barbaro. È il peccatore. Berlusconi è pericoloso perché parla come litaliano comune. Lo intercetta. Lo capisce. Lo interpreta. È luomo comune che ha fatto fortuna. La guerra di Repubblica è antropologica e culturale. È la resistenza degli optimati di Roma, quelli come Catone, contro i nuovi costumi. Repubblica è reazionaria e usa la Costituzione come un tabernacolo.
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