Cronaca locale

Quelle pipe milanesi e tricolori che «fumavano» aria di libertà

Nell’aprile 1859 furono il simbolo dell’indipendenza dall’Austria

Daniele Carozzi

Forse non tutti sanno che le pipe milanesi dovrebbero avere un posto d'onore nella storia del Risorgimento. Perché undici anni dopo le Cinque Giornate, nel 1859, loro, i nobili oggetti in radica, gesso o ceramica, servirono la causa nazionale proprio qui, all'ombra della Madonnina, facendo subire una assillante persecuzione - appostamenti, perquisizioni, sequestri e problemi giudiziari - ai loro possessori da parte dell'Imperial Regio governo. Si trattava di pipe sovversive, anzi, come si rileva dai verbali del tempo, «antipolitiche» perché ornate dei colori rosso, bianco e verde o addirittura intagliate con i volti di loschi personaggi che «tramavano» per l'Unità d'Italia.
Fu una situazione davvero imbarazzante e, dal febbraio all'aprile del 1859, in ogni bottega meneghina vennero sguinzagliati agenti di prefettura per la ricerca delle patriottiche pipe. Il primo concitato rapporto arrivò alla polizia il 23 febbraio 1859: «... si rinvennero nella bottega privativa condotta da certo Giovanni Marchesini otto pipe tricolori di gesso, simili al campione che si trasmette...». Messo alle strette, il Marchesini rivelò di averle acquistate «da certo Alessandro Gambarini, commerciante di pipe in Milano». Interrogato, il Gambarini ammise la vendita ma affermò di non averne più alcuna. D'altra parte, aggiunse, «la merce era stata regolarmente controllata alla dogana dai vostri colleghi»...
Dunque oltre al danno la beffa. E intanto Milano vive un proliferare di pipe rosse, bianche e verdi, di gran lunga superiore al numero dei sequestri. A marzo sono allertati il I, III e IV distretto di polizia, che attraverso minuziosi e giornalieri rapporti informano di averne trovate «rappresentanti il zuavo francese, alcune con berretta smaltata in rosso e fiocco bleu, altre con berretta bleu e fiocco rosso». Si scatena dunque la caccia alla pipa, di bottega in bottega, con l'imperial regio commissario superiore Urangia che esorta al sequestro del bene ed alla convocazione in prefettura dei colpevoli commercianti. Manca solo un mese a che l'esercito piemontese sconfigga gli austriaci a Palestro e poi entri in Milano dando uno scossone al trono d'Austria, ma da «porta Cicca» (Ticinese) al Castello, da porta Orientale (Venezia) al Loreto, l'unica preoccupazione è quella di «arrestare» le sinuose signore da fumo, colpevoli di divulgare i colori e i simboli della libertà e dell'indipendenza.
Il 27 aprile viene redatta un'apposita ordinanza per confiscare pipe in radica o gesso che rappresentassero il cappello alla calabrese, la forma di uno stivale, le pipe dette «alla Manara» (il Luciano che combatté durante le Cinque Giornate), e quelle con i famigerati «tre colori».
Per la verità gli austriaci non mostrarono la mano pesante con i cittadini réi di tale commercio, e le guardie civiche italiane, intuendo come il vento stesse cambiando a favore degli insorti, si limitarono a dire ai bottegai di «far sparire» quella merce. Tuttavia ben undici negozianti «tabaccaj e acquavitaj» furono condotti in Questura perché accusati di detenzione di «pipe antipolitiche» e minacciati di gravi azioni giudiziarie.
A maggio, quando francesi e piemontesi erano ormai alle porte di Milano, due zelanti guardie civiche, Villa e Malabarba, stilarono un dettagliato verbale di confisca nei confronti della «tabaccaja Monti Carolina, ove si è passati al sequestro di due pipe di gesso coi colori bianco, rosso e verde…», e di Giovannazza Giovanna, presa in flagrante con pipe sovversive fra cui una «rappresentante un uomo con barba all'italiana (si trattava di Garibaldi) con ghirlanda di fiori intorno al capo coi tre colori...».
Ma siccome la Storia non va in fumo, le ingiustamente dimenticate eroine del nostro Risorgimento, grezze o finemente intagliate, si potevano ammirare nelle teche del museo Savinelli-Ramazzotti. Almeno fino alla fine degli anni Ottanta.

Poi, quei rari pezzi di cui rimangono soltanto alcune foto alla Fondazione Bertarelli, hanno purtroppo preso la strada di una collezione privata Oltreoceano.

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