Pietro Mancini
Al bravo Gad Lerner - che da consulente politico Prodi ha derubricato a «giornalista, che esprime libere e personali opinioni» - vorremmo chiedere: ma se il tesoriere dei Ds, Sposetti, non poteva non sapere delle «fantasmagoriche plusvalenze extra-stipendione dellintimo amico Consorte», è credibile che il Professore, per 9 lunghi anni presidente dellIri, ignorasse completamente i finanziamenti illeciti, erogati da quel carrozzone clientelare alla vecchia Dc? A Lerner, che oggi spara coraggiosamente sul funzionario diessino - al quale auguriamo di non far la fine del povero Citaristi, il cassiere della vecchia balena bianca - crediamo sia utile ricordare le parole che Tonino Di Pietro disse a Prodi, dopo avergli inutilmente chiesto tutti i retroscena, politici e finanziari, del pasticciaccio brutto Sme-De Benedetti: «Caro Professore, non ho ancora capito se i capataz dei partiti lhanno fatta fesso, o se lei ha fatto fesso me...». Subito dopo il numero uno dellIri, stravolto, corse al Quirinale a lamentarsi con Scalfaro. Tonino non lo «molestò» mai più. Oggi Di Pietro aspira a diventare ministro di Grazia e Giustizia del Prodi-bis...
Da Gad Lerner ad un altro commentatore, in guerra con la Quercia in fiamme: Giuliano Ferrara. Querelato da Massimo DAlema per un articolo del Foglio sul tesorone di Consorte (50 milioni di euro), Ferrara ritiene quello delleuroparlamentare pugliese un «atto di intimidazione». Ed appare, in effetti, piuttosto disdicevole che la prima reazione al coinvolgimento del vertice della Quercia nellaffaire Unipol del presidente ds sia stata quella di trascinare in tribunale un giornalista. Ma allora perché DAlema e Fassino non hanno deciso di ricorrere alla carta bollata pure contro Claudio Rinaldi che, sul settimanale LEspresso, ha definito il presidente e il segretario della Quercia «i furbetti del Botteghino»?
«Non ci faremo triturare dai giornali e dagli alleati», ha assicurato un furibondo DAlema, minaccioso soprattutto con Prodi e Rutelli. Ma dal clima di assedio la Quercia non riuscirà a sfuggire solo facendo appello alla propria tifoseria e aizzandola contro quelle delle squadre avversarie, come nei derby più infuocati. Le risposte che il vertice del Botteghino deve dare allopinione pubblica, ai propri militanti e anche alla sinistra interna dovrebbero essere, in primis, politiche.
Se Piero e Massimo non ci pensano proprio ad accogliere linvito (tuttaltro che peregrino) alle dimissioni rivolto loro da Giampaolo Pansa, ammettano almeno i gravi errori commessi, misurandosi con i pesanti guai giudiziari dellex presidente di Unipol, Giovanni Consorte. Ma soprattutto spieghino, in termini profondamente autocritici, perché hanno fatto un lungo tratto di strada insieme alle «consorterie» e ai «furbetti del quartierino». Fassino e DAlema proclamino che laffarismo e la sfrenata lottizzazione delle poltrone e degli incarichi pubblici saranno banditi, per sempre, dai Ds e dallUnione, al centro e nelle regioni. E si rendano conto, finalmente, che non è vero che per un partito è lecito sponsorizzare un gruppo finanziario, a scapito di un altro, che si sospetta sostenuto dai propri infidi «fratelli coltelli».
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