Dicono che disegnasse sempre, quando non fumava, e che tracciasse anche dei solchi nella povere, se non aveva la matita. Oppure disegnava sulle pareti del minuscolo studio; come Boldini o come Modigliani usava tutta la carta che trovava sotto mano, gli inviti, i menu, le cartoline, le buste, a pranzo, a cena, a teatro. Alberto Giacometti sentiva la scultura da uomo antico, anche se la trasformò in una delle più risolte e insieme incomprensibili risoluzioni del contemporaneo. Per fare questo tornò allorigine, allessenza, a quella funzione primaria e necessariamente dolorosa dellarte che è la rappresentazione. Disegna per conoscere, per riconoscere il suo mondo. E intanto ritrae. Svuota la sua scultura di tutto quel che sembra che i grandi secoli le abbiano donato per addolcire limmagine delluomo e del suo stare nel mondo. La scultura di Alberto Giacometti attraversa il Novecento porgendo la soluzione e il suo contrario. Il corpo è essiccato, il volto è macerato, i solchi sui fogli si addensano come gabbie e come varchi: luomo è libero e prigioniero nello stesso tempo.
La mostra aperta da oggi a Gallarate, «Alberto Giacometti. Lanima del Novecento. Sculture, dipinti, disegni» (Museo MAGA, fino al 5 giugno, a cura di M. Peppiatt, con la direzione di E. Zanella e il coordinamento di C. Chiari) espone per la prima volta in Europa lintero nucleo di opere appartenenti a una discendente della famiglia: dipinti, sculture e disegni che provengono dallo studio dellartista, il «locale cavernoso» che lo vide allopera per quarantanni, in rue Hippolyte-Maindron, dietro Montparnasse, a Parigi. La maggior parte dei soggetti esposti raffigura membri della famiglia stessa, dal padre alla madre, dalla moglie ai fratelli Diego e Bruno, al nipote Silvio.
La prima Testa di Bruno è composta, romanticamente rodiniana, datata 1919, la Testa della madre, di quattro anni più tarda, è già corrosa da un acido avanguardista che le lascia appena lespressione; i tre volti del padre, in pietra, tutti del 1927, sembrano scalare i gradini della formazione di scultore moderno: sintesi, tagli cubisti, approssimazioni. Dagli anni Quaranta lo scultore, nato nel 1901, procede scarnificando la figura fino a ridurla a misere stalattiti di materia: è questo il Giacometti che, nel decennio successivo, diventa lautore dellHomme qui marche e della Femme debout del 1952. Pittura e scultura hanno attraversato due guerre, tante avanguardie, rotture e tradizioni. La figura sembra sul punto di scomparire per sempre o di apprestarsi a risorgere, è un nulla contratto, un grumo di bronzo che aspetta un inizio, o lennesima fine.
«Le teste, le persone, non sono che movimento incessante, da dentro, da fuori, si rifanno di continuo, non possiedono una vera consistenza, hanno confini trasparenti. Non sono né cubi, né cilindri, né sfere, né triangoli. Con buona pace dellamato Cézanne», dichiarò lartista nel 1960. Stava raggiungendo la fama mondiale, la consacrazione della grande mostra al MOMA di New York del 1965.
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