«Quelle vignette satiriche non gli rendono giustizia»

«Quelle vignette satiriche non gli rendono giustizia»

Questo di Anita Ginella Capini, (Gabriele D’Annunzio il «Genovese» De Ferrari, Genova), è un libro che si legge con interesse. Anche se la foggia grafica non è delle migliori, l’impegno della ricerca è positivo. E il suo contenuto ha una sua originalità. Si tratta di una cronaca - non nota - di fatti e di personaggi che hanno coinvolto o impegnato D’Annunzio a Genova e con altri luoghi della Liguria, da Levante a Ponente. E all’infuori della commemorazione che il poeta fece, il 5 maggio 1915 a Quarto dei Mille, inneggiando a quella partenza, io, dei rapporti di D’Annunzio con Genova, non conoscevo altro. Ragione in più di attribuire al libro novità soddisfacenti.
Poi, oggi, nominare D’Annunzio è una impresa culturale del tutto rara. È un protagonista, della nostra storia della Letteratura del ’900, di cui difficilmente si sente parlare. Come, d’altronde, è altrettanto arduo scoprire che il qualche cartellone di Teatro venga programmato, dal suo repertorio copioso, un suo lavoro.
E pensare - tra l’altro - che D’Annunzio compose per l’attrice Eleonora Duse (che fu anche la sua amante) più di un’opera drammatica. Oggi, a chi potrebbero importare aspetti del genere?
Il libro - si diceva - è una disamina di personaggi «genovesi» (giornalisti di quotidiani cittadini, finanzieri, politici, aristocratici, gente comune, ecc.) che per motivi diversi hanno avuto rapporti con il «vate». E, a volte, si scopre che tali incontri avvenivano programmati o accadevano per puro caso. E tutti rimanevano affascinati dal suo comportamento.
A mio parere avere corredato il testo con figure e figurine disegnate in modo satirico - anche se penso si sia voluto impreziosirlo - ritengo sia stata una scelta non del tutto azzeccata. Si è ottenuto un risultato visivo riduttivo per lo stesso D’Annunzio e al tempo stesso incombe il rischio di svalorizzare l’intero contenuto del libro. Nella maniera, un lettore non troppo allenato di letteratura potrebbe avere di D’Annunzio una visione riduttiva. E la curiosità è che le figure, che avrebbero dovuto giocare da stimolo, al contrario avviliscono. Bisognerebbe fare maggiormente uso di sensibilità critica e non applicare ad un libro le tecniche usate dai rotocalchi. Inoltre, quando si mescolano le due tecniche, ne consegue, pur non volendolo, un ibrido.
Con probabilità ci siamo sbarazzati di D’Annunzio con troppa fretta.
Nonostante quello che di lui si dice, D’Annunzio occupa, nella storia della letteratura, nella storia politica e militare del nostro ’900, un posto di primo piano. Il suo modo di vivere eccentrico non deve fare dimenticare ciò che fece di positivo. Senza dubbio la sua è stata una esistenza vissuta in modo epico, eroica, ma anche violenta. Pure grottesca e pure meschina. Anche la sua produzione di scrittore (romanzi, drammi, poesie, ecc.) colma di emotività, è degna d’essere studiata tutt’ora.
D’Annunzio visse di estetica.
Tutto il suo vissuto è stato improntato dalla forma, dall’atto, dal gesto, dalla dizione ricercata, un po’ arcaica, ma con consapevolezza. Si sbaglia a non attribuirgli valori letterari e capacità politiche.

E queste ultime sono state, forse, ben superiori a quelle di Mussolini, il quale, non a caso, lo temeva. Infatti, si prodigò affinché il «poeta eroico» rimanesse esiliato nella «prigione dorata» del Vittoriale sul Garda. E purché non si intromettesse, gli venne pagato, sino alla fine, e fu cospicuo, ogni debito.

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