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«QUELLI CHE...» E LE GAG INOPPORTUNE

Con la prima puntata della nuova stagione di Quelli che il calcio (domenica su Raidue, ore 14,15) si è puntualmente verificata la prima polemica: Anna Falchi si è sentita offesa per l’imitazione che il comico Max Giusti ha fatto del marito Stefano Ricucci, reduce dalla galera e quindi in condizione di estrema vulnerabilità, una di quelle situazioni sulle quali la satira televisiva di un tempo stendeva generalmente un velo di rispetto mentre quella di oggi non si fa scrupoli ad azzannare le sue prede senza andare troppo per il sottile. Forse Anna Falchi non è il personaggio ideale per questo genere di campagne piccate, essendo abbastanza spregiudicata per conto suo tanto da non aver mai rinunciato a far parlare di sé coinvolgendo i mass media a più non posso. Ma il discorso di principio che sta alla base della protesta non è comunque peregrino, anche perché nella stessa puntata del programma, attraverso un’imitazione in cui Lucia Ocone prendeva in giro la soubrette Elisabetta Gregoraci, venivano fatti insistiti accenni ironici sulla magagne fisiche di Flavio Briatore, tratteggiato come un vecchietto bisognoso di cure infermieristiche e di badanti. Briatore, per sua stessa ammissione, è reduce da un tumore e immaginiamo non protesterà per quest’altro esempio di satira disinvolta solo in virtù dell’amicizia che lo lega a Simona Ventura.

Il problema di fondo, anche in questo caso, rimane per intero e getta un sinistro presagio per il futuro della stagione televisiva appena iniziata: di quali e quante difficoltà umane, di quali e quante cattive sorti esistenziali la satira ci fornirà puntuali caratterizzazioni nel corso dei prossimi mesi, senza porsi alcun problema di sensibilità, se non di opportunità? Davvero gli imitatori di casa nostra, pur potendo pescare tra una marea quasi infinita di personaggi in vista, potenti di ogni risma, notizie di stretta attualità, episodi grotteschi, sentono il bisogno di andare a parare su situazioni di dubbio gusto, tanto per usare un dolce eufemismo? Oppure mettiamola in altro modo, visto che ogni discorso che tiri in ballo termini come «gusto», «sensibilità» e «opportunità» viene di solito furbescamente derubricato alla voce «moralismo»: possibile che gli imitatori non si accorgano dello scarso spessore professionale e qualitativo di certi accenni satirici? Non sono scelte un po’ troppo facili e scontate, che abbassano immediatamente il livello di una parodia? La nostra televisione pullula di imitatori e di imitazioni, cui ha delegato il compito di farci ridere nell'attesa che spuntino finalmente nuovi comici e una più originale creatività umoristica. Che almeno le vittime di queste fin troppo facili caratterizzazioni siano scelte tra i potenti e tra i sani.

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