Quelli che giuravano: «Vinceremo»

Il coro di Pd, Udc, Destra e Sinistra: «Stiamo andando alla grande»

da Milano

Quando Walter Veltroni diceva: «Noi siamo come la Nazionale del 1982: nessuno pensava che ce la potessimo fare, poi abbiamo vinto il Mondiale». E quando Fabio Mussi avvertiva: «La Sinistra rinnovata sono sicuro che avrà peso nel futuro del Paese». Era l’8 aprile, maledetti sondaggisti. Poi il Pd ha perso la partita e la Sinistra pesa un futuro fuori dal Parlamento.
Non se lo aspettavano, ecco. Anche il giorno del voto, a urne appena chiuse, tutta colpa degli exit poll. Al loft del Pd c’era Ermete Realacci che ne infilava una dietro l’altra all’urlo di: «La rimonta è evidente, chi parlava di distacco di 8-10 punti aveva la lingua biforcuta». Gli dava corda Giuseppe Fioroni: «Se c’è una cosa chiara è che i dieci punti di distacco non ci sono». Vero, sono nove. Sulle prime previsioni dei risultati li hanno dovuti portare via per evitargli il pubblico ludibrio. Rilette oggi, le «ultime parole famose» suonano impietose. Gli sms di Pier Ferdinando Casini ai suoi, per dire. «Cari amici, le cose non vanno bene, ma benissimo!!» esultava il leader dell’Udc il 30 marzo scorso. Quindi: «Non rispondete alle provocazioni di Berlusconi sul voto disgiunto o su quello utile», anzi, «rispondete ironizzando e con serenità», perché «è solo il segno della loro debolezza». Se mai, diceva qualche giorno dopo a Porta a Porta: «Io punto a essere determinante nella prossima legislatura», di più: «Io corro per governare» e «al Senato saremo indispensabili». E invece tre senatori sui 167 del centrodestra e i 137 del centrosinistra, ha conquistato. Ora, è vero. In campagna elettorale l’opinione pubblica va galvanizzata, non smontata, e allora troppo realismo è insano. Solo che il confine con la spocchia è labile.
Così, per un Massimo D’Alema che a cinque giorni dal voto nel tentativo di aggrapparsi a un Sud demotivato faceva scorrere le unghie sul vetro: i voti si stanno «spostando e il movimento è tutto in favore nostro», un mesetto prima c’era un Matteo Colaninno che a Milano la metteva giù con una certa spavalderia: «Saremo noi a vincere le elezioni e a guidare il Paese, non ho dubbi». Baldanzoso Giuliano Ferrara: «Porterò alla Camera almeno 20-25 deputati per un piano alla vita», poi ha dovuto ammettere la «catastrofe» dello zerovirgola. Impavido Fausto Bertinotti, che preconizzava «una Sinistra influente e non una minoranza riottosa, chiusa in un enclave». Già. Insolente Francesco Storace: «La verità è che il Pdl ha il terrore delle nostre candidature». Mah.
E via tutti quanti a dire che tanto al Senato sarà pareggio, figurarsi, e allora «mi candido a guidare il Paese» si offriva Casini, «Pd e Pdl dovranno fare un passo indietro» per un governo guidato da un soggetto terzo enunciava Mussi.

Poi c’era stata la storia delle armi, Umberto Bossi al Nord e Raffaele Lombardo al Sud a parlare di imbracciare i fucili e il centrosinistra tutto a gridare all’autogol: «Tra fucili padani e siciliani da stamattina siamo più certi di poter vincere» gongolava Nicola Latorre del Pd. E invece. Ma la frase epica resta quella di un ormai esaltato Veltroni: «Sui nostri cartelli c’è scritta la frase “si può fare”. Il 14 aprile scriveremo “ce l’abbiamo fatta”».

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