Quello strano stop all’inchiesta sulla casa

RomaSull’affaire degli appartamenti romani di Claudio Scajola e Francesco Pittorru che sarebbero stati acquistati anche con assegni circolari «passati» dall’architetto di fiducia di Diego Anemone, Angelo Zampolini, salta fuori un giallo grande, appunto, come una casa. Già un anno e mezzo fa la finanza aveva messo gli occhi su quelle operazioni. Zampolini era stato interrogato. Ma tutto era finito lì: nessun accertamento, nessun altro interrogatorio, nessuna ulteriore indagine.
Era il settembre del 2008 quando la Guardia di finanza di Roma si accorse di quei due cospicui versamenti in contanti effettuati da Zampolini qualche anno prima. Il 2 aprile del 2004 l’architetto aveva versato 285mila euro ottenendone assegni circolari per lo stesso valore intestati a Monica Urbani. Il 6 luglio aveva replicato, versando 900mila euro e intestando assegni circolari per la stessa cifra alle sorelle Barbara e Beatrice Papa. Nell’autunno di due anni fa, dunque, le Fiamme gialle decidono di convocare il professionista per chiedergli conto di quelle operazioni sospette. Ma la versione messa a verbale da Zampolini è a dir poco omissiva.
«Non sono in grado di spiegare, al momento, la provenienza della somma in contanti per gli assegni intestati a Beatrice e Barbara Papa e a Monica Urbani», spiega laconico ai finanzieri il professionista, aggiungendo solo: «Mi riservo di fornire l’eventuale documentazione che vi possa essere». Di fronte al timore di un’operazione di riciclaggio, ci si aspetterebbe un ulteriore approfondimento. Che invece non avviene.
Zampolini torna a casa e la storia, per la Guardia di finanza e per chi evidentemente su quella vicenda indagava, si chiude incredibilmente lì. Né le sorelle Papa né la signora Urbani vengono mai interrogate, nessuno si preoccupa di ascoltare il notaio che si occupò dei rogiti, tantomeno vengono convocati gli inquilini eccellenti degli appartamenti. Calma piatta, insomma. Interrotta, bruscamente, solo quando esplode il bubbone dell’inchiesta sul G8 e le attenzioni degli inquirenti si concentrano su Diego Anemone e sugli uomini a lui vicini, come il commercialista Stefano Gazzani e, appunto, Zampolini. Soltanto in quel momento la storia viene rispolverata e la Guardia di finanza si «risveglia»: a fine marzo 2010, con un anno e mezzo di ritardo, le ex proprietarie delle case di Scajola e Pittorru vengono convocate e ascoltate come testimoni, confermando l’anomalia del pagamento con assegni circolari e inguaiando il ministro e lo 007.
Solo una distrazione o c’è l’azione di qualcuno per spegnere quel primo innesco? Di certo, ed è agli atti dell’inchiesta, la «cricca» di Anemone aveva discrete entrature. Lo racconta, per esempio, Stefano Gazzani, commercialista del giovane re degli appalti, nel suo interrogatorio dello scorso 19 marzo. I pm perugini gli chiedono dei suoi contatti con uomini delle Fiamme gialle in seguito a una verifica fiscale avviata a ottobre 2008 in un’impresa di Anemone. E Gazzani mette a verbale una serie di attività. «Mi sono rivolto al comandante della Guardia di finanza per sollecitare la chiusura delle operazioni», racconta. E aggiunge di aver chiesto a Marco Piunti, all’epoca maresciallo della Gdf, «se conoscesse il maggiore Ierardi, e successivamente incontrai con Piunti tale Sconci». E dopo aver assicurato di non essersi «mai attivato per “addomesticare” la verifica», rivela anche che «la moglie di Piunti (che è la talpa dell’inchiesta, ndr) è assunta in una società di Anemone».
Sempre Gazzani, a verbale, racconta il boom del business del gruppo Anemone: «Li ho conosciuti (gli Anemone, ndr) tra il 2001 e il 2002 e mi sono occupato della consulenza amministrativa e fiscale delle loro società, che allora erano molte di meno rispetto alle attuali». Poche parole che confermano un dato: con il nuovo millennio, gli affari per Diego Anemone cominciano a correre. L’imprenditore della provincia romana si ritrova principe degli appalti, secondo gli inquirenti controlla altissimi funzionari e ha una corsia più che preferenziale per qualsiasi gara a cui è interessato.
Un passo importante, in questa escalation, sembra che Anemone lo debba a uno dei primi appalti con la pubblica amministrazione. Una commessa delicata e ambita: quella per il cantiere del centro Sisde di piazza Zama, a Roma. Nel 2002, quando ancora Scajola era al Viminale, gli 007 civili avevano appena accantonato il «trasloco» a La Rustica, e il dietro-front portò a un avvicendamento del responsabile logistico del servizio di intelligence. Dalla Gdf arrivò al Sisde, con quell’incarico, il generale Pittorru. Anemone ottenne il Nos, il «nulla osta sicurezza», indispensabile per assicurarsi gli appalti pubblici che richiedono la tutela del segreto. E a fine 2003 comincia i lavori, che terminano un paio d’anni dopo.
Proprio del rilascio dell’abilitazione Nos al gruppo imprenditoriale romano si è occupato recentemente il Copasir di D’Alema, oltre che delle dimissioni dal Sisde-Aisi di Arnaldo Pascucci, lo 007 cognato di Anemone a cui era intestato un numero di cellulare in uso ad Angelo Balducci. Pascucci, passato all’intelligence dalla polizia, era già emerso nelle intercettazioni della prima fase dell’inchiesta come l’uomo che si adopera per far ottenere illegalmente al figlio del commercialista Gazzani una patente di guida.

Pittorru invece è «solo» sospeso dal servizio, pare come concessione per il poco tempo che manca al generale per la pensione: tra qualche giorno compirà 65 anni. Tanti intrecci, molti ancora da chiarire, come background per la «cricca» e per i misteriosi acquisti «agevolati» a margine. Ma anche un trampolino per Anemone e le sue imprese.

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