Quello zoo a cielo aperto chiamato Roma

Marco Morello

Un tempo c’erano gli zoosafari. Intere famigliole in trasferta, con corredo di bambini festanti e increduli sul sedile posteriore, potevano ammirare e fotografare frotte di animali immersi nel loro ambiente naturale. Oggi invece non c’è più bisogno di prendere la macchina e partire, la fauna selvatica si corre il rischio di trovarsela proprio dietro casa. Con il passare degli anni Roma, oltre ad assumere le caratteristiche di una città multietnica e multiculturale, sta diventando anche «multianimale». Ad abitarla non sono soltanto gatti, cani e affini, ma anche pitoni, cormorani e struzzi. Di questo passo le tigri a zonzo in una via della Capitale, che tanta sorpresa hanno destato ai protagonisti della scena finale dell’ultimo film di Roberto Benigni, potrebbero diventare un’abitudine.
La causa di questo fenomeno è da ricercarsi nella particolare conformazione territoriale della città, una vera e propria autostrada biologica. «Roma è l’esempio ideale di corridoio biologico - spiega Fulvio Fraticelli, direttore scientifico della Fondazione Bioparco - un canale che permette la presenza di specie differenti, soprattutto di quelle selvatiche. Può essere un tratto di terra, una corrente aerea con una direzione particolare o un fiume che sfocia nel mare. Il Tevere è un ottimo esempio, ecco perché molti uccelli passano per Roma». E così i cormorani, dopo essersi insediati tre anni fa nella zona della Magliana, hanno già raggiunto l’Isola Tiberina. E con loro gabbiani, colonie di cornacchie, cicogne nere nel laghetto dell’Eur o un picchio verde che per errore ha preso dimora a Villa Borghese e non riesce a riprodursi. Oltre alla natura anche l’uomo ci mette molto del suo: il caso recente dei tre pappagalli confiscati dalla Lav a un mendicante è comunque un’ulteriore traccia della facile reperibilità di pennuti esotici nei dintorni.
I volatili, comunque, sono soltanto la punta dell’iceberg di un quadro dalle molteplici sfumature. I rettili continuano a essere molto «gettonati» nelle segnalazioni che quotidianamente giungono al Centro recupero fauna selvatica. Pitoni, caimani, coccodrilli e persino un varano scappati da circhi e dalle cure dei loro padroni, o ancora peggio abbandonati, hanno disseminato il panico più di una volta. Immaginarsi la faccia basita di un povero passante che all’improvviso se ne vede parare uno davanti non può che far sorridere, ma nessuno probabilmente vorrebbe essere al suo posto. Alcuni episodi, poi, hanno del paradossale. Nel 2003 fu trovato un orsetto lavatore in via Po, mentre nel 1997 una iena è stata portata al guinzaglio a Villa Pamphili da una ragazza che l’aveva trovata in un cassonetto e l’aveva adottata scambiandola per un cucciolo di cane. Ma questo è niente se si pensa che la Polizia otto anni fa si è lanciata all’inseguimento di un cammello al Tuscolano e di uno struzzo a Boccea.
La presenza di una volpe paventata nei giorni scorsi a Piazza Cavour, quindi, non può scomporre minimamente il direttore scientifico del Bioparco. «È normale che nelle nostre zone si aggiri una volpe - precisa Fraticelli -. Ce ne sono alcune a Villa Ada, insieme ad esempio agli istrici. Inoltre la volpe mangia carne, frutta e piante, spesso abbandonati nei sacchetti di rifiuti accanto ai cassonetti dell’immondizia ed è golosa di topi, proprio come quelli di Piazza Cavour».

Quello che al Bioparco però si stanno augurando è che tra qualche anno non siano costretti a chiudere i battenti. Se la tendenza dovesse mantenersi costante, la concorrenza gratuita dell’intera Roma, capace di ospitare una fauna tanto variegata, rischierebbe di essere imbattibile anche per loro.

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