da Roma
«Una strada senza uscita», la chiama Emanuele Macaluso. E il grande vecchio della sinistra, che fu prestigioso dirigente del Pci, fotografa con spietata lucidità la «rassegnazione» con la quale oggi i Ds si avviano a «cancellare ogni traccia di ciò che è stata e potrà essere la sinistra italiana».
La strada senza uscita, lungo la quale la Quercia perde ogni giorno un nuovo pezzo e si prepara allinevitabile scissione a sinistra del Correntone, si chiama Partito democratico. Dopo il clamoroso addio per «deficit di riformismo» di Nicola Rossi, ieri è arrivato quello di Peppino Caldarola. Ex direttore dellUnità, ex dalemiano, parlamentare eletto in Puglia dal 2001, Caldarola aveva avuto un ruolo importante nella battaglia congressuale di Pesaro, quando fu portavoce di Fassino nella sfida contro il Correntone animato, allepoca, da Cofferati e Veltroni. Poi le strade tra lui e il segretario si sono progressivamente divise. Fino allannuncio di ieri: «Mi arrendo», ha scritto Caldarola sul Corriere della Sera (già veicolo del feroce jaccuse di Rossi contro la leadership del centrosinistra), «non parteciperò al congresso Ds. Non lascio la tessera, perché in quel partito c'è, fra strappi e continuità, la gran parte della mia vita, e quella è la mia famiglia politica. Fino a che ci saranno politicamente i Ds, resterò lì. Dopo aprile, liberi tutti».
Negli ultimi mesi, Caldarola è stato uno degli animatori della «terza mozione», quella di Angius, Brutti, Nigra, Zani e altri esponenti della maggioranza della Quercia che contestano il progetto di Partito democratico. Ma che avrebbero rinunciato, a parere del parlamentare ds, a dare battaglia fino in fondo. Tantè che la terza mozione ha rifiutato di darsi un candidato alternativo a Fassino per la segreteria e ha chiuso la porta allipotesi, caldeggiata da Caldarola, di una «alleanza tattica» con il Correntone per rafforzare limpatto congressuale dellopposizione a Fassino e DAlema. Da Mussi e Salvi era arrivata la disponibilità a ragionare su come unire le forze e cercare un candidato di bandiera comune, ma Angius ha rifiutato. Un sollievo per Fassino, ossessionato dal rischio di vedersi assottigliare la propria maggioranza congressuale, e che da mesi incalzava i dirigenti della terza mozione per convincerli ad ammorbidire lopposizione. «Ma non voglio polemizzare con Angius e gli altri - dice Caldarola - la cosa sempre più evidente è che quello di aprile sarà un congresso per finta, al quale DAlema e Fassino si presentano con una proposta che sta in piedi ogni giorno di meno. A Caserta sono venute a galla in modo lampante le contraddizioni tra Ds e Dl, e le ragioni per cui il progetto di loro fusione è debolissimo: Massimo e Piero si sono ficcati nella trappola di Prodi, che da anni persegue lobiettivo di snervare e spolpare il principale partito della sinistra, e che grazie a loro ora lo sta raggiungendo». Con quali vantaggi per i due dirigenti ds non è chiaro: «Se speravano di essere i prossimi leader del Pd e candidati premier, Prodi ha già investito Veltroni come delfino. E se qualcuno sperava di riprovarci col Quirinale, è altamente improbabile che dopo Napolitano i cattolici lascino il passo a un altro ds, o ex ds».
Dopo lo strappo di Caldarola, che segue quello di Rossi e del leader gay Aurelio Mancuso che ha accusato i ds di resa ai cattolici della Margherita, al Botteghino cè aria cupa. Fassino, ospite di Porta a porta, ha avvertito che non avrebbe risposto a domande sullargomento. Del resto era già impegnato a difendersi su molti fronti, dalle mancate riforme del governo allincompatibilità sui diritti civili con Rutelli. Ma dal partito si levano voci preoccupate. «Si va verso levaporazione dei ds», constata amaro Mussi. «Il progetto del Pd fa acqua da tutte le parti», denuncia Angius.
La Quercia va a pezzi, Fassino sceglie di tacere
Il transfuga: Piero e DAlema si sono ficcati nella trappola Prodi, ma che cosa sperano?
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